Depressione: amore mancato

Scritto da Marco Montanari psicologo psicoterapeuta pubblicato sulla rivista medica Miafarmacia magazine.

La depressione è un disturbo molto diffuso tra la popolazione generale ed è presente soprattutto nelle regioni della terra più industrializzate, dove i ritmi di vita sono più frenetici. Di depressione ne soffre dal 10% al 15% della popolazione, con una diffusione maggiore tra le donne. Generalmente chi ne soffre mostra una marcata tristezza che persiste ogni giorno, accompagnata da un comportamento di chiusura, in cui non si riesce più a provare lo stesso piacere nelle attività quotidiane che si provava prima.

I pensieri sono sempre negativi, è presente un vero e proprio dolore di vivere, che porta a non avere più stimoli, passioni, sogni, slanci vitali. Generalmente chi ne soffre mostra una marcata tristezza che persiste ogni giorno, accompagnata da un comportamento di chiusura, in cui non si riesce più a provare lo stesso piacere nelle attività quotidiane che si provava prima. I pensieri sono sempre negativi, è presente un vero e proprio dolore di vivere, che porta a non avere più stimoli, passioni, sogni, slanci vitali.

A questa sintomatologia principale possono accompagnarsi deficit dell’attenzione e della concentrazione con difficoltà a prendere decisioni, insonnia, disturbi alimentari con una significativa perdita o aumento di peso, diminuzione o un aumento dell’appetito e un senso di vuoto nella zona del diaframma e della pancia. Possono essere presenti anche sintomi di agitazione o rallentamento delle attività fisiche e mentali, affaticabilità o mancanza di energia, e in alcuni casi, ricorrenti pensieri di morte che possono arrivare anche ad ideazioni suicide. La depressione è una patologia complessa e non ha una causa specifica, ma riconosce una serie di fattori predisponenti, che intervengono in misura differente da caso a caso e da persona a persona. Questi fattori possono essere caratterizzati da eventi di perdita, separazione ed insuccesso che intervengono nel corso di una vita, da malattie fisiche gravi o croniche, dall’uso di alcuni farmaci come antipertensivi cortisonici o contraccettivi, da continui pensieri caratterizzati da una visione negativa del mondo e del futuro. Per le donne, in particolare, nel corso della gravidanza e del puerperio, dal punto di vista fisico e biologico, le funzioni riproduttive che sono regolate da un delicato equilibrio ormonale, subiscono profondi mutamenti.

Oltre ad un cambiamento legato ad una nuova concezione del proprio ruolo e delle proprie capacità, una sindrome particolarmente frequente è quella denominata depressione post-partum, che dura in genere poche settimane e poi si risolve completamente. La depressione può innescarsi inoltre dopo alcune fasi importanti della vita: un lutto, un licenziamento, un cambiamento rilevante, ma anche in seguito ad eventi positivi come un matrimonio, un trasloco, una promozione o una vincita significativa. Nello stato depressivo esiste un rapporto particolare anche con il tempo: si prende tempo e si perde tempo, e persiste un senso di inadempienza verso le cose quotidiane. Capita spesso alla persona che soffre di sentirsi dire: “tirati su!, prima o poi passa!, vai avanti!”. Questa è un’inaccettabile “pacca sulla spalla” per chi si trova in questo stato, che viene vissuto come un ennesimo tentativo di forzare un movimento verso la vita che in quel momento non c’è, ed in questo, il depresso non si sente capito. Non è raro che il depresso viva anche forti sensi di colpa e vergogna nei confronti degli altri. Possono esserci profonde motivazioni per le quali un individuo si trova in questo doloroso stato d’animo; la depressione non è una manifestazione sintomatica che compare “per caso”. Nella depressione avviene che il percorso di vita sia come interrotto rispetto ad una linearità, e non è possibile continuarlo come prima. La depressione non ci indica solo un malessere, ma anche che qualcosa inevitabilmente va cambiato rispetto a prima; è come prendersi un momento di pausa, in cui ci si “assenta” da tutti gli impegni e da tutte le responsabilità che dall’esterno chiamano. E’ come se dentro di noi dicessimo: “basta!”. Richiamare la persona depressa immediatamente all’azione, al movimento ed alla reazione rispetto al disagio, non è efficace nella maggior parte dei casi, poichè siamo davanti ad un soggetto che non possiede l’energia necessaria per farlo, non perché non ce l’abbia, ma perché fino a quel momento ha agito troppo ed ora, volente o nolente, ha deciso di fermarsi. Faccio un esempio: capita a volte nelle stazioni o negli aeroporti di vedere persone che per avere portato a lungo una valigia pesante la lasciano cadere e, riposando un pò il muscolo del braccio poi la recuperano, continuando la loro marcia. In quel momento accade che il muscolo, pieno di acido lattico, cede nella sua funzione e necessita di un momento di pausa per riprenderla. Come quel muscolo stanco, il depresso ha bisogno di sostare nella marcia della vita, che spesso si ripete con giornate sempre uguali, con delusioni, incomprensioni e mancanza di relazioni autentiche. C’è bisogno di nuove motivazioni, nuovi incontri e spesso di nuovi valori. Cosa fare allora con il depresso? Innanzitutto comprenderlo, capire quanto è grande la sua capacità di amare, capire quanto si è spesso riempito di preoccupazioni e problemi che non sono i suoi, capire quanto è arrabbiato per questo e quanto non abbia il coraggio di tirarlo fuori, specialmente con le persone che ama. Comprendere quanto si sente inutile e poco valorizzato, quanto nella sua capacità di essere empatico è così poco ricambiato dal mondo esterno. Il muscolo teso si rilassa con il riposo, la materia diventa più malleabile con il calore, la depressione talvolta si cura con l’amore.

Ovviamente le depressioni non sono tutte uguali; sulla base del decorso, della sintomatologia e del rapporto con gli eventi esterni, ne vengono distinti vari tipi. Per esempio, esistono casi che nella loro gravità possono sfociare in manifestazioni accompagnate da deliri e allucinazioni, dove quindi si rende necessario un ricovero ospedaliero con assistenza psichiatrica. Occorre perciò discriminare quando siamo davanti ad una manifestazione che va “bloccata” con un intervento farmacologico, affidandoci ad una vasta gamma di farmaci della nuova generazione che hanno azioni mirate alla risoluzione dei sintomi, oppure quando la depressione va curata nella profondità esistenziale della persona, quando cioè è possibile trasformare quel male esistenziale con una relazione terapeutica e con il rapporto umano. È nella relazione che ci ammaliamo ed è nella relazione che possiamo risolvere la malattia. In un’ottica dove l’amore cura, ci allontaniamo da una visione meccanicistica e logico consequenziale della risoluzione del sintomo, per ascoltare empaticamente la persona nella sua totalità. Solo così possiamo avvicinarci al sentire e al vivere del depresso, che ha rifiutato per primo un modo di esistere troppo meccanico e ripetitivo, e si è fermato davanti a tutto, ed ora sta aspettando qualcuno che lo veda veramente e che lo ami. All’Istituto di Psicosintesi (Centro di Bologna, tel. 051 521656 , www.psicosintesi.it, bologna@psicosintesi.it) si organizzano corsi di gruppo su varie tematiche (ansia, attacchi di panico, psicosomatica, senso di colpa e vergogna, sessualità) e incontri psicologici individuali.

Il maschile ed il femminile dentro di noi – Seconda parte

Scritto da Marco Montanari, psicologo psicoterapeuta integrazione posturale.

Riflessioni sull’esperienza del maschile e femminile – Seconda parte

Il potere trasformativo del maschile e del femminile veniva usato nell’alchimia per la trasmutazione della materia. L’alchimia era una scienza che si occupava di studiare come trasformare la materia da una specie ad un’altra, nacque intorno al 133 A.C. E e si diffuse dall’Egitto alla Grecia, da Alessandria a Bisanzio e in India. L’oggetto più noto nella ricerca degli alchimisti è l’oro, gli alchimisti studiavano come trasformare il piombo in oro, questo avveniva attraverso pratiche di purificazione, che si ripetevano più e più volte in un processo chiamato: “Solve et coagula”, dissolvi e cristallizza.

L’ oro non era meta di soddisfazione velleitaria, ma, l’alchimista, nelle numerose pratiche e nelle misteriose arti con cui trattava la materia, trasformava se stesso, oggi sappiamo che non pochi fra gli alchimisti hanno raggiunto gradi di auto consapevolezza ed evoluzione psichica attraverso questi lavori, raggiungendo il loro “oro spirituale”. Le pratiche di purificazione della materia, chiamavano in causa elementi come zolfo e mercurio, zolfo è il principio maschile, simboleggiato dal re, dallo sposo, dipinto di rosso, mercurio è il principio femminile e veniva rappresentato dalla regina, dalla sposa, vestita di bianco, per sottolineare la sua caratteristica passivo-femminile. Mercurio è la manifestazione più immediata e meno elaborata della materia prima, della materia informe, difficile da trattenere e da plasmare, spesso gli alchimisti tentavano di raccogliere la rugiada mercuriale in grandi ampolle per potersi appropriare dell’elemento, ed utilizzare le sue particolari qualità. Lo zolfo è invece quell’elemento al quale veniva attribuita la proprietà di estrarre le forme dalla materia amorfa, di conferire quindi forma al mercurio. Quante volte vediamo questo connubio tra maschile e femminile, tra zolfo e mercurio, nella nostra vita quotidiana. Se paragoniamo il mercurio, sostanza indefinita che deve essere plasmata, alla sorgente delle nostre energie personali, alle nostre pulsionalità, quindi intimamente connesso al nostro inconscio, abbiamo a che fare con mercurio ogni volta che è presente un conflitto dentro di noi. Quando desideriamo compiere una determinata azione come uscire o divertirci e siamo invece bloccati in casa dalle le nostre paure più irreali, accade cioè molte volte che, nell’inconscio, il desiderio conviva con il rifiuto, la ricerca con la fuga, l’amore per una persona con l’odio che nutriamo per la stessa. Può succedere ad esempio che in una situazione ci sentiamo bloccati o una determinata persona sia potenzialmente coinvolgente e ci provochi emozioni che non riusciamo a controllare. Possiamo avere un lapsus, un atto mancato, una rabbia espressa indirettamente, in tutte queste occasioni siamo in presenza di mercurio, materia che, nella sua natura indefinibile ed implasmabile, sfugge ad ogni nostra capacità di consapevolezza, contenimento e direzione. Nell’alchimia dopo gli interventi di purificazione (bagno del re), dopo il trattamento con gli acidi (divoramento), dopo le ripetute dissoluzioni (solve e coagula), zolfo e mercurio sono pronti per congiungersi, cosa che viene resa con immagini del talamo nuziale, dello sposalizio, del coito, dell’incesto, delle nozze mistiche (hieros gamos). Nella vita di tutti giorni questo sposalizio corrisponde alla presa di coscienza: quando riusciamo a non agire di impulso fermandoci a sentire cosa succede dentro, quando abbiamo comprensione del motivo per cui una particolare persona o situazione ci scatena una così insolita reazione, riuscendone a trasformare gli effetti, quando siamo noi a gestire, come un re con il suo regno, le molteplicità del nostro mondo interiore.

L’inconscio è costituito da bipolarità, da ambivalenze, da conflitti, forze che si muovono come cavalli impazziti senza domatore, e ogni tentativo di maturazione psichica si muove necessariamente verso un confronto, verso una unione, una commistione e un equilibrio di tali elementi opposti. È stato detto che zolfo corrisponde allo spirito (inteso come componente trascendente) e mercurio corrisponde all’anima (intesa come psiche), l’incontro tra “eros e psiche” descritto nel racconto mitologico, sottolinea non solo l’importanza del connubio tra maschile e femminile, ma anche tra umano e divino. Altre volte è stato detto che zolfo corrisponde alla ragione e mercurio alla emozione, che zolfo è l’espressione della coscienza personale, in stretta connessione con l’io, e mercurio è espressione dei moti pulsionali, quindi in stretta connessione con l’es.

Zolfo è l’elemento alchenicamente connesso al sole, universalmente noto come simbolo della coscienza, con la sua indiscutibile qualità di “portare alla luce” e “fare luce” sulle zone di ombra della psiche, mercurio, viceversa, viene legato alla luna, simbolo della irrazionalità, della istintualità, di inafferrabile malinconia. Uno dei primi conflitti dell’animo umano è proprio quello tra razionalità ed irrazionalità, tra ragione ed emotività, tra la forza organizzatrice, che ferma, e forza disorganizzatrice, che muove. Zolfo e mercurio sono simboli, e in quanto tali sono espressioni di significati soggettivi, complessi e contrastanti.

Possiamo ora, parlando di inconscio, introdurre il concetto di archetipo per definire il maschile ed il femminile, argomento sviluppato ampiamente da Carl Gustav Jung, nel corso dei suoi studi sulle forze che muovono l’inconscio.
Jung chiama inconscio personale la nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto soggettiva, si basa sulla nostra esperienza empirica della realtà, quello che sentiamo o proviamo rispetto alle nostre esperienze che si sedimentano dentro di noi, formando nel tempo, il magazzino del nostro inconscio. Esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui, questo inconscio collettivo, non si sviluppa individualmente ma è ereditato, esso consiste in forme preesistenti, gli archetipi appunto, che possono diventare coscienti solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti psichici.

Possiamo chiamare archetipo quel contenuto dell’inconscio collettivo, frutto della sedimentazione delle esperienze ripetute dall’umanità nel corso dei millenni, sono immagini primigenie simili alle idee eterne platoniche. Esse risalgono, secondo Jung, ad un periodo in cui la coscienza ancora non pensava ma percepiva: forme eterne e trascendenti. La forza e la potenza di queste idee innate è straordinaria, esse muovono le energie dentro di noi più di qualsiasi altra cosa, e gli effetti si vedono proprio nella nostra quotidianità, nel rapporto con l’altro. L’uomo si trova in tal modo ad essere attraversato da una contraddizione: in lui si manifesta la tendenza a ripetere comportamenti ed atteggiamenti collettivi che appartengono al passato dell’umanità e, al tempo stesso, egli sperimenta il desiderio di salvaguardare la propria libertà, dando risposte originali e personali a nuove situazioni ambientali.

Ritengo che nella interazione tra individui esista un impatto energetico che arriva prima di qualsiasi altra conoscenza, lo percepiamo prima di sapere qualsiasi altra cosa riguardo al nostro interlocutore, molto spesso viene anche chiamata “la sensazione a pelle”. Questo impatto ha a che fare con la percezione dell’animus e dell’anima, del maschile e del femminile. Una sera abbiamo espresso in un gruppo di uomini e donne che non si conoscevano affatto, (molti era la prima volta che si vedevano), ciò che pensavamo della parte femminile e della parte maschile, basandoci soltanto sulle nostre sensazioni immediate. È curioso come le descrizioni, fatte di semplici aggettivi o intere frasi, riportavano perfettamente quello che era il maschile ed il femminile di ognuno.

Nella tradizione sciamanica viene svolto un esercizio di percezione chiamato “la captazione”, nella quale tenendo le mani dell’ interlocutore, una persona descrive tutto ciò che “capta” dell’altra, e si basa solo su sensazioni o immagini che arrivano alla coscienza. Se l’esercizio è fatto con concentrazione, è difficile percepire cose sbagliate che non appartengono alla persona della quale si toccano le mani. Anche nelle costellazioni familiari di Bert Hellinger, le persone che partecipano ai lavori di gruppo e vengono scelti per le rappresentazioni, sono invitati a lasciarsi andare alle percezioni del momento, con una precisione stupefacente riproducono le dinamiche e gli stati emotivi dei reali protagonisti della famiglia, come se si conoscessero da sempre.

Possiamo comprendere molte cose di noi se osserviamo, nel rapporto con un’altra persona, a quale livello ci relazioniamo: più con la sua parte maschile o con la sua parte femminile. Siamo più in relazione con la sua sensibilità, fragilità o dolcezza, oppure con la sua determinazione, intraprendenza, forza fisica, sentiamo di addolcirlo e rassicurarlo nelle sue parti più rigide, oppure di proteggerlo e aiutarlo nella sua fragilità, o ancora, quale parte di quella persona non tolleriamo, ci da fastidio, rifiutiamo. Come si incontrano queste particolari attitudini, come interagiscono, come sono complementari o simmetriche, tutto questo appartiene al mondo del maschile e del femminile e quello che manifestiamo lo abbiamo appreso con certezza nelle nostre primordiali esperienze con questi principi. Spesso l’origine di questi rapporti avviene nella famiglia, dove la primaria relazione con il padre e con la madre, segna le nostre conoscenze del maschile e del femminile. Nell’omosessualità maschile ad esempio, dove la parte femminile è molto sviluppata, c’è molto spesso un rapporto particolarmente intimo, confidenziale e fusionale con la madre, il figlio diventa ipersensibile al mondo interno di lei, ed è colui che comprende l’intimità di sua madre meglio di chiunque altro. Nel rapporto con l’altro svilupperà la tendenza a relazionarsi con la parte femminile, probabilmente svilupperà una particolare attenzione alle fragilità alle sofferenze alle delicatezze dell’altro, è facile, in questi casi, sentire la mancanza di una parte maschile interna forte, che ci aiuta ad avere più confini o a creare una difesa da questa eccessiva intimità. L’equilibrio tra parte maschile e femminile all’interno di ognuno di noi significa equilibrio di forze, potenzialità e benessere.

Per comprendere meglio questa importanza mi riferisco ai testi antichi della cabalà. La cabalà è quella parte della tradizione esoterica della mistica ebraica, in particolare il pensiero mistico sviluppatosi in europa a partire dal VII VIII secolo, in ebraico Qabbaláh(ebr. קבלה) è l’atto di ricevere, il dono, il contenuto degli insegnamenti profondi.

L’unione tra maschile e femminile nella tradizione ebraica è il momento privilegiato, più santo, in cui uomo e donna raggiungono la loro comunione più intima, anche il cielo e la terra si uniscono insieme a loro, esprimendo la risonanza cosmica di tale atto. Queste nozioni non sono solo il frutto di vaghe speculazioni filosofiche, né di esperienze libertine, ma provengono dalla sapienza pratica millenaria di un popolo che ha sempre considerato l’unione tra un uomo ed una donna, e non la vita monastica, come il bene più elevato, come la situazione umana che più ci avvicina a Dio. È l’unione del sacro e del profano, la strada verso la spiritualità che passa attraverso l’unione delle carni e l’esperienza della sessualità. La sessualità, quello che nella maggioranza dei casi è un puro sfogo libidico, viene trasformata dal fuoco della passione e del desiderio, diventa un’esperienza di unione e trascendenza che porta ad un livello spirituale più alto. Questa visione si avvicina molto alla visione del tantra, gli antichi testi tantrici diffusi inizialmente in India, Nepal, Tibet e Cina, erano gelosamente nascosti e rivelati soltanto a coloro che, dopo difficili prove, dimostravano di ricercare seriamente l’esperienza dell’estasi e della liberazione spirituale.

Shakti nel tantra è la forza femminile, può essere attribuita al partner ma è anche la donna interiore che esiste sia nell’uomo che nella donna. Questa qualità bisessuale di tutti gli esseri umani, secondo il tantra, deriva dalla nostra origine da padre e madre. Il tentativo di sopprimere questa naturale androginia a favore di una esagerata mascolinità o femminilità, crea squilibri psicologici, che in occidente vengono classificati come nevrosi. Il termine Shakti ha molte valenze, è l’energia divina della creazione e quindi la forza creativa e trasformativa dentro di noi, quando questa forza viene risvegliata, un enorme potenziale di gioia e di rinnovamento fluisce dentro di noi e nel rapporto di amore con l’altro. Nel tantra il mistero della vita viene compreso e spiegato attraverso il sottile gioco dei principi maschili e femminili, tutto ciò che è stato creato, non è altro che una emanazione della forza vitale di questi principi.

Ogni relazione può svilupparsi su diversi livelli, la comprensione e lo sviluppo del principio maschile e femminile è una strada per poter comunicare profondamente con se stessi e con gli altri attingendo alle ampie possibilità del nostro essere. Il principio maschile per il tantra è Shiva, esiste all’interno di entrambe i sessi ed è conosciuto negli antichi testi come il “dio grande” o il “principio divino immortale”, nell’iconografia orientale Shiva è raffigurato come un Lingam, il fallo eretto, con un viso alla sommità, una colonna, uno yogi seduto o in piedi con un Lingam eretto e molte altre forme antropomorfiche dalle molte braccia.

Identificandoci con l’energia vitale della mente Shiva, secondo la via del tantra, è possibile essere condotti direttamente verso una esperienza di trascendenza, pura coscienza ed essenza immutabile senza confini, oltre i limiti delle esperienze quotidiane.

Vediamo ora cosa accade nel rapporto di coppia. Aumentare e coltivare la propria parte maschile e femminile in un rapporto ha lo scopo per l’uomo di essere desiderato in quanto uomo e per la donna di essere desiderata in quanto donna. Il loro legame non potrebbe svilupparsi appieno se si desiderassero per altre ragioni o bisogni, riguardo mancanze del passato ad esempio.

In una coppia, perché il rapporto possa continuare ad essere stimolante e nuovo, un uomo deve rinnovare la propria mascolinità e questo spesso avviene coltivando il rapporto con altri uomini, lo stesso è per la donna nel rapporto con altre donne. Questo significa che nella coppia occorre passare un po’ di tempo separati di tanto in tanto. In un rapporto di coppia uomo e donna dovranno continuamente rivedere il proprio essere uomo e donna, dovranno continuamente riscoprirsi e rinnovarsi. Molte volte la maschilità e la femminilità vengono acquisite secondo stereotipi sociali e non secondo autentiche caratteristiche personali. L’uomo forte ad esempio, è raffigurato come l’uomo “macho”, colui che si mostra potente e muscoloso, che non ha paura o che non si spezza davanti alle difficoltà della vita, oppure colui che esprime un’immagine di trasgressione. Riguardo le relazioni genitoriali l’uomo passivo o effemminato e l’uomo macho hanno una comune caratteristica, sono entrambi ancora sotto l’influenza materna. Il don giovanni o l’uomo che è affetto dalla così detta “sindrome dell’Harem”, dove il piacere si manifesta nel possesso di tante donne, esprime in realtà in questo potere un potenziale aggressivo verso un modello femminile materno troppo invadente e oppressivo, dal quale non è ancora riuscito a distaccarsi trovando una sua identità. Nello stesso tempo manifesta un modello maschile acquisito da ciò che è accettato socialmente nel momento: il macho ed il conquistatore appunto.

Quante volte ci chiediamo come mai non troviamo l’uomo giusto o la donna giusta, oppure ci lamentiamo del fatto di non incontrare persone stimolanti che sappiano risvegliare quell’amore o quella passione da tanto tempo sepolte. Con questo atteggiamento inevitabilmente vediamo il problema all’esterno, nell’inadempienza e nell’inadeguatezza dell’altro, e ci asteniamo dal prenderci le responsabilità dell’insuccesso delle nostre relazioni. Diciamo spesso queste frasi: “quando troverò la persona giusta allora mi aprirò..”, “ci sarà e incontrerò prima o poi la persona che riuscirà a risvegliare le mie doti e che mi capirà..”. Purtroppo nella dinamica interpersonale avviene l’opposto: se siamo aperti possiamo trovare la persona giusta, se ci offriamo come un fiore sbocciato, davanti a noi ci sarà qualcuno che saprà cogliere il nostro profumo. Solo così può cambiare l’atteggiamento verso questo problema della vita e delle relazioni. Diventa quindi importante la responsabilità personale, quanto ci prendiamo cura e coltiviamo le nostre qualità, e con quanto amore ci occupiamo del nostro lato maschile e femminile che ci caratterizza.

Il lato maschile e femminile si esprime in ogni azione della nostra quotidianità, un buon esercizio ad esempio può essere quello di ripercorrere, alla sera, le immagini di tutta la nostra giornata a ritroso e di tutti gli episodi significativi. Nelle azioni quotidiane e nei nostri incontri possiamo osservare come abbiamo espresso le nostre qualità maschili e femminili, e vedere cosa vogliamo cambiare, gestire in maniera diversa o potenziare, il giorno seguente. Il maschile ed il femminile si esprimono e si coltivano tutti i giorni nella scelta di un libro o di un film per esempio, nell’atteggiamento verso una persona in una determinata situazione, nella scelta di una canzone che accompagna il movimento del nostro corpo, nella cura con cui ci laviamo la faccia alla mattina o ci spazzoliamo i capelli. Se sappiamo cogliere e coltivare queste sfumature della vita, allora impariamo non solo a conoscerci nelle nostre sensazioni, nei nostri bisogni e nei nostri desideri, ma a “giocare” con essi anche nelle relazioni con gli altri. L’incontro con l’altro diventa, nei termini del gioco, una relazione scambievole di queste qualità. La persona giusta quindi la persona che conosce il nostro gioco e lo condivide con noi, oppure lo impara se glielo insegnamo, qualora non riuscisse a giocare, allora possiamo pensare che ci sarà un altro giocatore per scambiare e condividere quelle qualità, sviluppate prima di tutto attraverso nostre esperienze, e coltivate nelle nostre azioni.

Quando un uomo ed una donna condividono una grande passione inizialmente soddisfano i propri bisogni, si aiutano nelle sfide della vita, si sostengono. Successivamente la coppia dovrà affrontare l’inevitabile realtà della separazione. Ogni uomo e donna che vivono insieme infatti, dovranno prima o poi relazionarsi con l’esperienza della morte e della separazione fisica. Anche quando in una coppia regna l’amore, tutto ciò non può colmare un senso di incompletezza che è alla base dell’animo umano,e che il rapporto non può soddisfare completamente. Il confronto con questo profondo bisogno ci spinge verso i più grandi misteri della vita, verso la dimensione spirituale e religiosa.

Anche qui vediamo la presenza imperante del principio maschile e femminile, osserviamo infatti ciò che accade quando meditiamo o quando ci apriamo ricettivamente verso dimensioni più spirituali. Per accedere a questa dimensione, occorre sviluppare principalmente due qualità: la presenza, la determinazione maschile e l’accoglienza, l’apertura femminile. Solo conoscendo ed approfondendo questi principi possediamo la chiave per l’espansione della coscienza, per l’unione con il tutto, per l’intima percezione della nostra natura più illuminata. Nell’alchimia viene chiamato “androgino”, la figura completa, armonica nelle sue parti maschili e femminili, contrariamente all'”uroboro”, (il serpente che si morde la coda), simbolo della coazione a ripetere.

Armonia e spiritualità, presenza di amore e volontà insieme, soddisfazione dei principali bisogni di affetto e di auto affermazione, da questo, l’accesso alla parte spirituale diventa oltre che una necessità, una possibilità espressiva.

Concludo con una frase di Osho, significativa per questo argomento:

“Incominci a cercare una donna o un uomo che possa creare un certo insieme organico con te, una unità nella tua vita, in modo che questa carenza costante, questo qualche cosa che manca, questo pesante senso di incompletezza nel tuo essere venga rimosso….

Ma nessuno ha mai trovato una donna o un uomo in grado di esaudire il desiderio di diventare un insieme completo”.