Il maschile ed il femminile dentro di noi – Prima parte

Scritto da Marco Montanari, psicologo psicoterapeuta integrazione posturale.

Quante volte ci accorgiamo di esprimerci con qualità che appartengono più al femminile o al maschile. Dolcezza, accoglienza, sensibilità e fragilità da una parte, aggressività, determinazione, responsabilità e potere dall’altra. Sono attitudini e atteggiamenti spesso così radicati da definire la personalità ed il carattere, evidenziati soprattutto nella relazione con gli altri.

Ci sono indiscutibili differenze fisiche tra uomo donna, comprendono le caratteristiche anatomiche e fisiologiche primarie, tra le quali la più evidente è la presenza del pene e della vagina o la distribuzione della peluria e del grasso nel corpo. Geneticamente l’uomo possiede il cromosoma Y che la donna non ha, e sin dagli stadi più precoci dello sviluppo determina produzione di testosterone. Differenze fisiche tra maschile e femminile sono quindi una espressione ormonale dei differenti cromosomi, la differenza nel maschio rispetto alla femmina della conformazione cerebrale, deriva proprio dall’azione del testosterone più che dalle aspettative culturali, e questo differenza continua tutta la vita. L’uomo ha un minor spessore del corpo calloso, cioè delle fibre che connettono i due emisferi cerebrali, ha anche minore distribuzione dei centri del linguaggio rispetto alla donna, questo determina una più marcata specializzazione funzionale dei due emisferi. Gli uomini hanno prestazioni migliori non soltanto nelle attività che richiedono una maggiore forza muscolare, ma anche nei compiti che richiedono una precisa localizzazione spaziale, dove è coinvolta l’attività visivo motoria, sono superiori nelle attività di astrazione o nei compiti matematici. Le donne sono più abili a svolgere compiti che richiedono qualità come allevare, accudire, riescono meglio nelle mansioni che richiedono una motricità fine come ricamare o cucire. Sono maggiormente in grado di rispondere alle modificazioni somatiche ed emozionali del volto durante la conversazione, e di rispondere più empaticamente alla gestualità non verbale. Nei tempi in cui la donna si occupava della casa e della crescita dei figli mentre l’uomo cacciava e svolgeva attività più “mascoline”, si sono delineate quelle differenze che sono state tramandate culturalmente da generazione in generazione. Oggi i ruoli sono diversi, sussiste una maggiore intercambiabilità, ma non possiamo dimenticare quello che per così tanto tempo si è stata una definita divisione di compiti, tanto da scolpirsi nelle nostre tradizioni e a far parte del patrimonio genetico. Ci sono quindi abilità specifiche e differenze oggettive tra maschile e femminile, ma quali qualità, quali sfumature stabiliscono il colore della nostra personalità?. Intanto siamo generati da un uomo e da una donna, padre e madre sono un esempio primario indiscutibile di come impariamo a conoscere il maschile ed il femminile, nonché di come si sviluppa l’interazione tra loro, e certo non sono le uniche fonti per il nostro maschile e femminile nel corso di una vita. Alcune esperienze un uomo e una donna non le possono vivere, possono comprenderle solamente con l’immaginazione e l’empatia. Per esempio, l’uomo non potrà mai vivere l’esperienza del ciclo mestruale o della maternità, ma solo se sviluppa vicinanza alla sensibilità, vulnerabilità, fragilità e creatività del femminile in quei particolari momenti, riesce a comprendere e ad afferrare quelle qualità della donna e del suo femminile. Un uomo in questo caso non può sapere cosa significhi vivere quell’esperienza, deve limitarsi ad immaginarlo, e può farlo soltanto perchè la donna esiste. Il modo che ha l’uomo per relazionarsi con la propria parte femminile consiste nel riconoscere in se stesso ciò che immagina essere la consapevolezza della femminilità nella donna. Lo stesso vale per la donna che cerca il suo maschile nel rapporto con l’uomo. Ora, un uomo ed una donna hanno solo la possibilità di cogliere il maschile ed il femminile nell’altro, o questa è una necessità di vitale importanza per tutti e due?. Per capire questo proviamo ad immaginare che cosa accade se in un gruppo di uomini si introduce una donna o se in un gruppo di donne si introduce un uomo. La situazione nel gruppo non rimane uguale a prima, possiamo vedere ad esempio come iniziano a manifestarsi tra i componenti del gruppo relazioni intrise di piacere, sfida, competizione, o atteggiamenti di seduzione.

La situazione che si viene a creare assomiglia a quello che avviene in un laboratorio chimico, quando in un composto viene improvvisamente introdotto un agente, che determina una alterazione dell’equilibrio della sostanza precedentemente stabile. In gruppi di soli uomini, come ad esempio in certe confraternite religiose, capita di vedere manifestazioni di atteggiamenti femminili, soprattutto quando uomini stanno insieme, isolati tra loro per molto tempo. Sul monte Athos, in un piccolo paese della Grecia settentrionale, situato all’estremità orientale di una penisola estesa sul mar Egeo, sono presenti circa venti conventi di monaci. Chi ha la fortuna di poterli incontrare nelle loro passeggiate solitarie, può notare che hanno assunto gesti, modi di parlare, di camminare e di muoversi, che hanno caratteristiche femminili. Sembra quindi che, per colmare la mancanza della presenza delle donne, membri di un gruppo formato completamente da uomini, trovi autonomamente quelle qualità che mancano, e questo si vede chiaramente osservando la gestualità. Colmare questa mancanza e incompletezza sembra essere una necessità presente nella vita. Anche nelle case di cura per anziani accade qualcosa di alchemico se in un gruppo uomini o donne entrano persone dell’altro sesso, lo si vede osservando i giochi e le interazioni quotidiane, capiamo da ciò che questo processo dura tutta una vita. Cosa succede dunque? Quali reazioni chimiche si scatenano nell’incontro tra maschile e femminile? Quali qualità maschili e femminili sono così importanti da essere un bisogno vitale? Se si potesse astrarre una qualità vitale che per definizione rappresenta il maschile, forse dovremmo evidenziare la sua natura aggressiva e auto affermativa, quella natura che guarda sempre avanti, che protende verso. Come aggressività non indichiamo necessariamente la violenza, ma etimologicamente la parola deriva da dal latino ad-gredior che significa andare verso, andare di buon grado, ed è un movimento volto al cambiamento, al raggiungimento di uno scopo, alla realizzazione di un bisogno. Questo movimento maschile è di fondamentale importanza nello scopo della trasmissione della vita, se pensiamo che dei circa trecento milioni di spermatozoi emessi durante una eiaculazione, solo uno raggiunge l’ovulo della donna. La forza, la determinazione e la competitività di quel campione che raggiunge l’ovulo è determinante perchè possa nascere una vita. Ma lo è anche l’azione della donna: accogliere. La donna accoglie quella spinta dell’uomo che viene fermata, ridotta, trasformata, e cambiata. Questa è trasformazione, nell’incontro tra i due l’uomo accede a qualità come dolcezza, sensibilità, abbandono.

La donna accogliendo la forza dell’uomo lascia che lui raggiunga il suo cuore, e, aprendosi, si abbandona a lui. Questo rapporto ideale, diventa un gioco delicato tra dare e prendere nella forma magica dello scambio, le regole richiedono che entrambe i partecipanti siano consapevoli della loro influenza, che si rafforza e si sviluppa in ogni nuovo contatto reciproco. Ci sono moltissimi esempi di questa trasformazione nei racconti e nelle fiabe. Nel racconto delle “mille e una notte” ad esempio, si narra di come un sultano persiano dopo essere stato tradito dalla moglie, decide di uccidere tutte le successive spose con le quali passerà la prima notte di nozze. Sheherazade, moglie del sultano, narra allo sposo con dolcezza femminile una storia ogni giorno, e rimandando il finale al giorno successivo, ha così, salva la vita. Con la delicatezza, modalità suadente e capacità di comprensione amorevole esclusivamente femminile, Sheherazade riesce a fermare il sultano dalla sua terribile promessa di vendetta, facendo appello all’immaginazione dello sposo, riesce a stimolargli uno spazio di contemplazione interiore, che ammorbidisce la dura ferita del suo animo. Il dolore del maschile viene curato nell’incontro con il femminile, avviene così una alchimia. Nello scambio sussiste un dare e un prendere, il pericolo è costituito dalla tendenza alla sopraffazione o all’invasione, quel gioco di potere che a volte sconfina nella necessità della possesione. Ma la rinuncia alla sopraffazione non deve essere una rinuncia alla auto affermazione, perchè nella capacità di ‘affermare se stessi, c’è la partecipazione autentica al rapporto. L’equilibrio si gioca nel tentativo di un individuo di arrivare all’altro: si sente accolto, tende alla sopraffazione, è rifiutato, ma non si ferma, e trova un nuovo livello di partecipazione dove il rischio è sempre quello di sconfinare o essere respinti, se non ci fosse questa dinamica, sarebbe un rapporto privo di vitalità.

Il movimento tra maschile e femminile è attuabile a tutte le relazioni, ed è alla base del principio della vita: dove c’è l’espressione di questo movimento, c’è vita.

Possiamo immaginare maschile e femminile come due polarità, il polo femminile è rappresentato dall’elemento negativo ed il polo maschile da quello positivo, ciò non va inteso nel senso che soltanto il primo sia passivo ed il secondo attivo, ma entrambe si esprimono in modo diverso. Nelle nostre case, la trasmissione di energia elettrica è possibile grazie alla presenza di una polarità negativa e di una positiva. La corrente elettrica passa attraverso due punti stabili, se uno dei due non lo fosse o non avesse una identità precisamente positiva o negativa, non esisterebbe energia. Questa energia può essere in seguito utilizzata in tanti modi: per scaldare, per illuminare, per fare funzionare una macchina ecc., ma la base è data da due poli stabili e opposti.

La forza di queste polarità si manifesta nell’unione di coppia uomo – donna.

Quante volte di fianco a grandi uomini ci sono grandi donne il cui lavoro nascosto e meno evidente ha contribuito, in maniera unica, alla realizzazione di grandi vite: Gandhi, Martin Luther King, Daisaku Ikeda, sono esempi tra moltissimi casi. Quanta energia hanno prodotto coppie simili di uomini e donne! Una tale potenza produce forti impatti sulla realtà, alla stessa maniera in cui l’elettricità è utilizzata dall’uomo per diversi scopi, questa forza prodotta dall’incontro tra maschile e femminile può irradiarsi al di fuori della coppia, ed essere utilizzata per significative trasformazioni nell’ambiente, positive o negative che siano. Il segreto sta nella presenza di stabili identità e precisi ruoli. Come un treno può correre sui binari solo se essi non si incontrano mai e viaggiano parallelamente lungo il percorso, così il rapporto tra uomo e donna è forte e produce forza solo se entrambe riconoscono la presenza del contributo indipendente delle loro qualità.

Una parabola buddista dice: “il potere dell’arco determina la forza con cui vola la freccia, se l’arco è debole, la corda sarà lenta, il femminile è l’arco ed il maschile la freccia così la forza della donna sostiene e guida le azioni dell’uomo.”

Riporto qui ancora antichi testi buddisti che elogiano il rapporto tra uomo e donna: “un profondo legame spirituale tra uomo e donna trascende questa vita e farà si che essi si rincontreranno ancora nelle esistenze successive. Come ogni animale ha il suo ambiente, si nutre e vive felice nel suo luogo vitale: i pesci nell’acqua i volatili in cielo le piante nella terra, così quando un uomo è felice la sua donna si nutre del suo stato vitale ed è soddisfatta. Se un uomo è un ladro anche la sua donna lo diventerà, e questo non riguarda soltanto questa vita. Un uomo e la sua donna sono sempre uniti come un corpo e l’ombra come i fiori ed i frutti come le radici e le foglie in tutte le esistenze. Gli insetti si nutrono degli alberi su cui vivono, e i pesci bevono l’acqua nella quale nuotano.

Se l’erba appassisce, le orchidee soffrono, se i pini sono fiorenti, le querce gioiscono. Persino gli alberi e l’erba sono uniti cosi strettamente. L’uccello chiamato hiyoku ha un corpo e due teste, entrambe le sue bocche nutrono lo stesso corpo. Nello stesso modo uomo e donna nutrono lo stesso corpo mantenendo indipendenza di pensiero e di giudizio.

I pesci hiboku hanno un occhio solo così maschio e femmina restano insieme per tutta la vita. Uomo e donna allo stesso modo hanno in totale due occhi, ossia due punti di vista diversi che armonizzati allargano la visuale di entrambe.

Ci deve essere sempre un rapporto di offerta, un desiderio di portare un contributo per realizzare la felicità di entrambi.
Uomo e donna uniti sono come due candele che con il calore si sciolgono e fondono insieme i loro corpi e uniscono le loro fiamme in una fiamma più grande e viva”.

Anche nella materia, ciò che determina il movimento e la vita in ogni piccola particella molecolare, è la presenza di un nucleo positivo e di elettroni negativi che orbitano intorno, questa tensione genera movimento. Quanto più numerosi sono gli elettroni, tanto più denso e pesante è l’elemento in cui si muovono, la molecola di idrogeno ne contiene uno soltanto, l’uranio ne ha novantadue. Di basilare importanza è lo scambio che avviene tra maschile e femminile, la qualità dell’interazione e le dinamiche dello scambio sono la base per comprendere anche i conflitti di coppia. Nella medicina cinese il chi, energia primordiale connessa con la vitalità e con la vita, è prodotta dalla interazione tra yin e yang, rispettivamente tra il principio femminile e quello maschile.

Naboru Muramoto, spiega come in estremo oriente yin è il nome dato alla forza che produce espansione. L’acqua, gli alberi, i fiori, l’aria ecc. sono tutti elementi in espansione nella natura, la loro tendenza è quella di riempire continuamente le dimensioni dello spazio. Lo yang al contrario, è la forza che esprime la contrazione, rende le cose compatte e pesanti. Ogni elemento in natura continua a contrarsi finchè la forza yang resta dominante, quando essa si esaurisce, l’elemento ritorna ad espandersi, in quanto non c’è più alcuna forza residua, che ne impedisce l’espansione.

L’attività è yang, e la passività è yin, questo principio è ben esemplificato dal calore dell’attività del sole, in opposizione al freddo e alla passività della luna. Il sole, il giorno, il caldo e l’estate sono detti yang, mentre la luna, la notte, il freddo e l’inverno sono detti yin. Frutti succosi yin, come le arance, la papaya, gli avocado, crescono in un clima caldo e torrido yang, la presenza del connubio tra yin e yang è quindi alla base della vita e della trasformazione.

Autostima: stima di ciò che sento

Pubblicato sulla rivista miafarmacia magazine di Febbraio – Marzo 2009.

William James, psicologo e filosofo statunitense (1842 – 1910), noto per aver studiato il comportamento dell’essere umano dal punto di vista empirico, fu tra i primi ad evidenziare come persone con scarse abilità potevano fare risaltare doti di sicurezza incrollabili, mentre altri stimati da tutti e ritenute persone valide, intimamente diffidavano completamente di loro stessi. Sfogliando riviste, cataloghi di libri o DVD, possiamo trovare infinite “ricette” per poter conoscere, potenziare, migliorare le nostre qualità e la nostra autostima, con l’illusione che esista un modo universalmente valido per tutte le tipologie di persone.

Parlando di autostima in realtà tocchiamo un campo che comprende profonde componenti individuali, che ci interessano singolarmente come esseri umani e che non possono essere ridotte a promesse oramai molto diffuse come “diventa un super manager in una settimana”, “tira fuori il dio che c’è in te in un mese” o “impara a ottenere ciò che vuoi in un giorno” ecc. Nel linguaggio comune la stima è genericamente la valutazione che si dà ad una cosa secondo il suo valore. Riportandolo all’essere umano la domanda diventa: “quale valore diamo a noi stessi?”. Si potrebbe allora desumere che se ci valorizziamo la nostra autostima sarà alta, altrimenti sperimenteremo quella che viene chiamata “bassa autostima”. Se tutto si riducesse a questa valutazione, basterebbe trovare quelle qualità di noi alle quali diamo valore e coltivarle quotidianamente per farle emergere nella nostra vita e nelle relazioni con gli altri. Potrà sembrare banale, ma il solo riconoscere le proprie qualità, che comprendono i propri desideri, i propri progetti e i propri bisogni, per alcuni è molto difficile. Può esserci accaduto molte volte, e per molto tempo, per esempio di trovarci in situazioni dove ci hanno mancato di rispetto o siamo stati messi da parte, e ci siamo quindi “abituati” a subire comportamenti abusanti, tanto da non sentire più, talvolta, le nostre ferite ed il nostro disagio. Prendiamo, ad esempio, una situazione interpersonale nella quale non siamo attualmente felici, dove da tanto tempo si protrae un clima di insofferenza che ci vede vittime di frustrazione e impotenza. Forse ci accorgiamo di essere rimasti molto tempo in questa situazione, di esserci abituati a quel disagio o di esserci, in parte, anestetizzati rispetto al nostro normale limite di sopportazione. Possiamo aver sentito di non meritarci altro o di non avere altri desideri, altre possibilità a cui aspirare. Questa dinamica può sussistere in tante aree della nostra vita privata: con il partner, sul lavoro, nelle relazioni amicali, con i figli, in situazioni sociali e di gruppo, ed è in questi momenti che possiamo arrivare a rivolgerci ad uno dei tanti manuali sull’autostima che troviamo in libreria. Mi chiedo come facciamo a stimarci se, nel ruolo frustrante in cui ci troviamo, che si ripete puntuale come un orologio svizzero nella nostra vita e relazioni, facciamo fatica non solo ad uscirne, ma a riconoscere ciò che vorremmo veramente per noi. Se proviamo a chiudere gli occhi per un momento, cercando di ritrovare le immagini di tutte quelle situazioni in cui ci hanno mancato di rispetto, dove non ci hanno capiti o non ci siamo sentiti amati, può essere già molto difficile riuscire a mantenere il contatto con ciò che proviamo. La possibilità di sentire tutta la nostra sofferenza, non tanto come una lamentela, ma come un contatto profondo con una parte di noi che è stata trascurata, è il primo passo per “scongelare” un atteggiamento di insensibilità e di abitudine. A monte di una personalità che manca di autostima può esserci stata un’eccessiva sopportazione, un’eccessiva accondiscendenza, un eccessivo contatto con la sofferenza degli altri rispetto al contatto con i propri bisogni, una mancanza di alternative o diverse opportunità rispetto a relazioni e situazioni potenzialmente frustranti. La sopportazione o l’attenzione sensibile al dolore degli altri è positiva se si tratta di amore, di dedizione all’altro, di consapevole rinuncia in favore di un legame a cui teniamo, ma diversamente può diventare una ripetuta condizione in cui ci mettiamo da parte. Un momento in cui possiamo entrare più in contatto con la nostra autostima è quando ci troviamo davanti ad una decisione. Proviamo a pensare cosa succede quando dobbiamo scegliere tra due cose, per esempio due lavori, due luoghi in cui passare una serata, due persone verso le quali proviamo attrazione, due percorsi diversi. Tutte le volte che abbiamo davanti una scelta da compiere possiamo trovarci di fronte ad un conflitto, dove dobbiamo escludere una cosa rispetto ad un’altra, ed è come se esistessero tutte le alternative, in lotta per affermarsi dentro di noi. Spesso, per poter decidere, ci appoggiamo al consiglio di un amico o sentiamo qualche parere esterno. Il problema non è raccogliere tutte le informazioni per fare la scelta migliore, ma la mancanza di potere nella decisione. Quando cioè affidiamo la nostra scelta a qualcun altro, quando aspettiamo di non nuocere per portare a termine una decisione, per poter agire, per poterci muovere e poterci affermare, quando rimaniamo nel limbo del conflitto per tanto, troppo tempo. L’autostima e la capacità di scegliere sono strettamente collegate tra loro, sono connesse alla possibilità di seguire i nostri desideri ed i nostri bisogni, alla possibilità di potere entrare pienamente in una situazione, entrando in contatto, a volte, con il rischio o con l’ignoto. L’opposto della bassa autostima è l’autoaffermazione: quando affermo me stesso mi manifesto, metto in gioco le mie qualità, posso conoscerle e trasformarle. Nell’uomo esistono due bisogni fondamentali: il bisogno di affetto ed il bisogno di autoaffermazione. Questi due bisogni spesso li viviamo in contrasto: “se mi affermo pienamente, perderò l’affetto; se vivo di affetti non posso auto affermarmi”. Il problema infatti comincia nel momento in cui il bisogno di autoaffermazione porta, come conseguenza, alla rinuncia del bisogno di affetto. Quando ad esempio nell’affermarci rischiamo di rompere certi legami tenuti in piedi da tanto tempo, spesso basati sulla dipendenza. Conviene allora chiederci se si tratta di vero affetto, quell’affetto che non include una nostra autoaffermazione, che non avvalora le nostre qualità o i nostri sogni, che non vede ciò a cui aspiriamo. Nello stimare noi stessi, nel darci valore, nell’ascoltarci nel modo più autentico, (e non nello scimmiottare qualità approvate socialmente solo per riscontrare successo), incontriamo inevitabilmente un rischio: quello di dover lasciare situazioni della nostra vita, di cambiare vecchie abitudini, di ritrovarci per un periodo soli. Nel dedicare tempo alla conoscenza di noi stessi siamo soli, e coltivare l’autostima in modo profondo implica momenti come questi, in cui non necessariamente dobbiamo toglierci dalle relazioni, ma dove l’ascolto di quello che ci accade diventa il punto di riferimento più importante. A volte diventiamo come minatori, per raggiungere le pietre più preziose, dobbiamo imparare a rimanere anche al buio.