Terapia della gestalt: Bologna – Prima parte

Scritto da Marco Montanari, psicologo psicoterapeuta integrazione posturale.

In questo articolo sono raccolte informazioni generali sulla terapia della gestalt per la diffusione e l’utilizzo di questo modello di intervento, è scritto sia per gli “addetti ai lavori” che per chi si avvicina alla conoscenza dell’approccio gestaltico. Lo scopo di questi articoli è quello di diffondere la cultura della gestalt, in particolare nella città di Bologna dove, nel lavoro terapeutico, utilizzo con entusiasmo questo modello soprattutto nell’intervento corporeo.

Vita di Fritz Perls fondatore della terapia della Gestalt:

E’ piuttosto complesso stabilire una data precisa per introdurre la “nascita” della Terapia della Gestalt. Alcuni autori e terapeuti della Gestalt ne attribuiscono la fondazione a Frederich Salomon Perls; altri (come Wheeler) sembrano più critici rispetto alla figura di Perls, ritenendolo piuttosto un “geniale intuitore” di elementi già presenti in altri modelli epistemologici del suo tempo.

Psicoanalista ebreo nato in Germania ed emigrato prima in Africa, dove svolse la maggior parte del suo lavoro di psicoanalista, Perls si sposterà successivamente negli Stati Uniti, dove ebbe modo di sviluppare le intuizioni che legavano la sua pratica terapeutica alla Psicologia della Forma ed ai modelli fenomenologici-esistenziali. Fornendo, inoltre, alcuni “cenni” sulla sua vita si potrà meglio comprendere come essa abbia influenzato la sua formulazione teorica e soprattutto la sua impostazione operativa terapeutica.

Nasce (1893) in un ghetto ebreo di Berlino, da una coppia problematica e burrascos. La madre gli trasmette l’amore soprattutto per il teatro, passione che coltiverà per tutta la vita e che influenzerà molto il suo lavoro terapeutico, sia nella pratica clinica che nella concettualizzazione teorica. Le contraddizioni e gli scontri più seri li ha con il padre. A partire dall’età di 10 anni si avvia un percorso esistenziale buio, (enfant terrible), fino a quando, verso i 14 anni incontra il teatro da protagonista, affascinato dall’offerta di tecniche espressive di questa attività.

Nel 1914 si iscrive alla facoltà di medicina, studi che lascerà per arruolarsi volontario nella Croce Rossa ed andare in guerra. In servizio al fronte vivrà alcune tra le esperienze più traumatiche della sua esistenza; al ritorno subirà per molto tempo i postumi di questi accadimenti (depersonalizzazione, completo disinteresse per l’ambiente). Dopo la guerra riprende gli studi e si laurea nel 1920, specializzandosi in Neuropsichiatria. Continua a prediligere, tuttavia, la frequentazione dell’ambiente teatrale, intellettuale e di sinistra della Berlino di quegli anni che gli offre uno degli incontri tra i più significativi per la sua vita e la sua professione: quello con il filosofo espressionista Salomon Friedlander (autore che sviluppa l’ipotesi di “vuoto fertile”, il punto zero definito da Ginger come equilibrio tra polarità opposte tema che avrà una importanza sostanziale nella Gestalt).

A 30 anni effettua un primo tentativo di stabilirsi a New York ma le difficoltà linguistiche e l’intolleranza alla cultura fortemente competitiva americana lo fanno tornare in Germania, ad abitare con la madre e dove vivrà in uno stato di abbrutimento. L’incontro con Lucy, una donna molto importante nella sua vita, gli ridonerà fiducia nella sua potenza sessuale ‘sperimentando’ insieme diverse modalità di rapporti sessuali. In questo periodo decide di intraprendere una prima analisi personale. A 33 anni incontra Karen Horney che influisce molto sulla sua scelta professionale di psicoanalista. Lascia Lucy e si trasferisce a Francoforte dove diventerà assistente di Kurt Goldstein (che lavora con tramautizzati cerebrali tentando delle connessioni con le scoperte sulla percezione della Psicologia della Gestalt) e dove incontra Lore Posner (Laura) con la quale si sposerà. Nel ‘27 intraprende una seconda terapia (con H. Deutsch); nel ‘28 una terza analisi con E. Harnik, psicoanalista ultra-ortodosso.

Nel 1931 la Horney suggerisce a Perls di iniziare un’analisi, la quarta, con Wilhelm Reich, psicoanalista non troppo ortodosso; questo percorso influenzerà molto la sua futura elaborazione professionale, apprendendo essere importante l’osservazione ed il contatto con il paziente anche dal punto di vista fisico (per poter vedere i punti di contrazione e i blocchi della corazza) e per prestare attenzione al presente più che al passato.

Il 1931 è un anno molto importante per Perls: la sua professione si può dire ben avviata. Ma sono gli anni in cui in Europa si comincia a sentire il “rumore” del nazismo e ben presto è costretto a fuggire, prima in Olanda e poi in Sud Africa dove accetta una proposta di lavoro come psicoanalista da parte di Ernest Jones.La sua opera Ego, Hunger and Aggression (in collaborazione con la moglie) rappresenta, in un certo senso, il punto di rottura con la psicoanalisi. Perls sottolinea il fondamentale ruolo della concezione olistica della persona e, influenzato dagli studi della semantica, condivide il fatto che tutte le esperienze sono multidimensionali, che le emozioni hanno un impatto sugli aspetti intellettuali e viceversa, e in terapia occorre tener conto di questo e sviluppare un approccio integrativo: vengono compresi come rilevanti anche il linguaggio e il suo contesto semantico.

Terminata la guerra si trasferisce negli Stati Uniti dove, nonostante sia criticato per il suo comportamento provocatorio e ribelle: suo trasgredire le regole terapeutiche avendo rapporti sessuali con i suoi clienti, uomini e donne, ha tuttavia molti clienti. Si comincia ad interessare sempre più alla terapia di gruppo. Frequenta assiduamente gli ambienti bohémiens, quelli dell’intellighencia di sinistra ed il teatro; in questi ambienti incontra Paul Goodman (allora poeta e scrittore) che diverrà una delle figure di maggior rilievo, sia nella fondazione della nuova scuola che nell’elaborazione dei primi passi teorici del nuovo modello.
A Perls, Laura e Goodman, presto si aggiungono altre figure e così nel 1950 si forma il Gruppo dei Sette: Fritz e Laura Perls, P.Goodman, P.Weisz, I.From, E.Shapiro, S.Eastman, ai quali si aggiunse R.Hefferline. Nel 1951 esce la prima pubblicazione, La Terapia della Gestalt: vitalità e accrescimento nella personalità umana (Perls, Hefferline, Goodman), in due volumi. Non sono omogenei tra loro nell’elaborazione e rispecchiano le differenti tendenze intellettuali dei rispettivi autori (Perls; Goodman). Prevale l’approccio più intuitivo e meno terico/intellettuale, che progressivamente comincia ad essere preponderante nell’insegnamento e nella pratica di Perls. Dopo aver fondato i primi Istituti di Gestalt (’52 a New York, ’54 a Cleveland) Perls ricomincia i suoi viaggi di insegnamento ed esperienze, dove prende spunti teorici e pratici che integrerà poi nel suo lavoro: “sensory awareness”; psicodramma-monodramma.. Perls è alla ricerca di un perfezionamento del suo metodo empirico e, anche se lavora ancora secondo procedure verbali, si spinge sempre più sul vissuto del qui ed ora, sul contatto diretto nella diade della relazione terapeutica e sulla modalità dell’identificazione successiva con le varie parti del sogno.

Accentuare l’aspetto esperienziale del processo terapeutico significa per Perls offrire al paziente la possibilità di ottenere un proprio insight, dandogli un alto grado di controllo su ciò che apprende di sé durante la terapia.

In questi anni si accentua la spaccatura tra Perls (vicino alla scuola dell’Ovest, californiana) e gli Istituti di New York e di Cleveland (East Coast), in cui, da Laura Perls e da Goodman, sta crescendo una nuova generazione di gestaltisti, che seguono ed approfondiscono una metodologia di lavoro maggiormente legata agli schemi classici dell’interazione verbale. Una spaccatura ancora attuale, anche se connotata da più sinceri tentativi di integrazione.

Stanco, demotivato, Perls sente di non avere riconoscimenti adeguati e a 63 anni si ritira in Florida, insoddisfatto anche del rapporto con Laura. Un anno dopo, nel ’57, sarà di nuovo un incontro con una donna a fargli ritrovare la motivazione a vivere; Marty , una sua paziente, con la quale inizia una relazione così intensa da portare Perls a definirla come la donna più importante della sua vita. Con lei sperimenta le fantasie più audaci e contemporaneamente comincia a far uso di droghe psichedeliche e di LSD. Queste sperimentazioni danno sfogo a tutta la sua paranoia finché non viene lasciato. Ne esce distrutto e ricomincia un periodo di vagabondaggio. Tra il ’59 e il ’60 incontra a Los Angeles uno dei suoi primi clienti, Jim Simskin, che lo aiuta ad abbandonare la droga, sempre a Los Angeles fonda un nuovo Istituto di Gestalt. Con il suo sostegno Perls si ricostruisce una clientela, ma la sua inquietudine e l’istinto verso l’ignoto lo indurranno ad allontanarsi di nuovo. Il cambiamento che questo periodo segnò nella vita di Perls si evidenzia ad Esalen, un centro di crescita sulla costa californiana. Qui diventa un terapeuta famoso e carismatico e sembra trovare la pace tanto agognata. Sono gli anni in cui, a detta di Naranjo, che qui lo conosce e ne diventa prosecutore, Perls comincia ad esprimere la “fioritura del suo genio”. Tuttavia la Gestalt non fiorì e non esplose fino a quando non si creò la congiuntura favorevole con l’inizio del fenomeno californiano degli hippies: questo movimento controculturale si riconosce nello stile di vita e di lavoro terapeutico praticato da Perls, che viene riconosciuto come “re degli hippies” e portato alla gloria. Esalen comincia a riempirsi di persone che ogni fine settimana partecipano ai seminari. La registrazione di questi seminari viene tradotta nel testo Terapia della Gestalt parola per parola (1969).

Ad Esalen nasce un nuovo gruppo di collaboratori (Naranjo, Blumberg, Satir, …) che presto emergono nelle loro differenziazioni applicative. Si realizza l’idea della fondazione di una nuova comunità sul modello del kibbutz israeliano, in Canada, dove tutti vivono in comunità e partecipano al lavoro collettivo, così come alle sedute di terapia e formazione. E’ finalmente rilassato e felice.

Nel 1970, di ritorno da un viaggio in Europa, viene colpito da un infarto e muore a Chicago all’età di 77 anni.

Perls ha certamente evocato sentimenti e riflessioni in forte polarità fra loro, sia all’interno degli stessi individui sia tra le istituzioni che si sono occupate e tuttora si occupano di questo nuovo approccio.

Fondamenti psicologici e filosofici della Terapia della Gestalt

“Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti.”

La parola Gestalt (tedesca)= totalità della forma di una struttura unitaria significativa = “configurazione globale”
Psicologia della Forma (o della Gestalt) e Teoria lewiniana del campo. Nel 1912 Wertheimer diffondeva i suoi studi sul fattore phi, detto principio integrante, attraverso cui l’organismo trasferirebbe le singole impressioni sensoriali di una serie nella percezione unificata di un movimento continuo: è il battesimo della Scuola della Gestalt, che si contrappone alle precedenti scuole associazionistiche ed atomistiche. Insieme, anche, a Kohler e Koffka viene approfondita l’intuizione della presenza nell’individuo di una maggior attività nella percezione: “nei termini dell’organismo percepiente: la ‘totalità significativa’ è lo stimolo”. Le figure (configurazioni) possono essere scomposte e analizzate in parti sussidiarie, che comunque conservano le medesime caratteristiche di figura/sfondo, cioè dell’intera configurazione.

Fu Kurt Lewin il primo a far uscire il modello gestaltico dai luoghi deputati alla sperimentazione e allo studio e ad innestarlo nella vita più quotidiana. Le sue concettualizzazioni mettono a fuoco soprattutto il rapporto individuo/ambiente., che definisce campo, una realtà dinamica in cui le Gestalten interagiscono. Tutto ciò che il soggetto percepisce nel campo è considerato e valutato, in positivo o negativo, in funzione del soddisfacimento dei bisogni dell’individuo (afferma che il bisogno organizza il campo). Chiara la forte implicazione terapeutica di tutto ciò: ogni individuo non può intendersi se non in relazione con l’ambiente di cui fa parte, in cui agisce attraverso un’attività di problem-solving orientata all’intercettazione della forma pregnante, (buona), per il soddisfacimento dei bisogni. Un bisogno non soddisfatto (Gestalt o lavoro interrotto) può allora presentarsi ripetutamente fino al soddisfacimento e Perls, allargando questo principio alla dimensione esistenziale e di sviluppo dell’individuo, ha elaborato il concetto di ciclo del contatto, o stato di buona salute (assenza di ciclicità nevrotica).

Perls ed i suoi collaboratori sono stati tra i maggior sostenitori di quella che viene definita la Terza Forza della Psicologia, la psicologia Umanistico-esistenziale che nasce negli Anni 50 con il lavoro di May, Rogers, Moreno, e che tiene in gran conto l’approccio teorico della corrente esistenzialista europea. Si oppone all'”oggettivismo” della Psicoanalisi e del Comportamentismo sottolineando la possibilità di allargare il campo di azione e la libertà di scelta degli individui attraverso lo sperimentare piuttosto che il comprendere o l’apprendere.

Oggi include molte metodologie ed approcci terapeutici legati tra loro, la visione dell’intervento terapeutico ha come valore la restituzione alla persona il suo diritto di costruire la propria unicità, soddisfare i bisogni, valorizzare il corpo e le sue esperienze, esprimere emozioni, realizzarsi e svilupparsi secondo i propri desideri/bisogni, creando un proprio sistema di valori. La considerazione dei bisogni non materiali e l’accento posto sulla ‘normalità’ dei comportamenti e l’inutilità delle categorizzazioni nosografiche sono premesse che ben si inquadrano nella Terapia della Gestalt, ponendosi come metodo attivo per lo sviluppo delle potenzialità “sane” degli individui. Anche i sintomi sono visti nella struttura complessiva della persona, si pone ascolto ad essi per poi intensificarli, per meglio comprenderne il messaggio e l’emergenza della Gestalt più urgente nel qui ed ora, quindi la relazione del soggetto e con l’ambiente. I disturbi psicologici sono considerati ‘rotture di Gestalt’ ed interruzione nell’unità dell’essere: la prospettiva olistica quindi non è più la semplice eliminazione o riparazione dei sintomi, ma lo sviluppo ed il mantenimento di una soddisfacente armonia, che diviene l’obiettivo principale della terapia gestaltica. La ‘normalità non è un adattamento sociale ma una capacità di inventare nuove regole attraverso l’adattamento creativo tra la propria realtà vera, e quella dell’ambiente (attraverso quello che Perls ha definito il processo di autoregolazione organismica).

Le influenze più dirette ed incisive sul modello gestaltico provengono dall’indirizzo fenomenologico-esistenziale.

Alcuni principi di fondo condivisi dall’esistenzialismo:
• Impossibilità del ripetersi di un’esperienza (valore della soggettività e della libertà che si situa nel possibile e nella scelta)
• Rilevanza data al vissuto corporeo (l’esistenza concreta, l’esser-ci)
• Responsabilità personale dell’individuo.

Se tutto è soggettivo e non ripetibile non serve creare delle leggi: tutto quel che si può fare (soprattutto in ambito terapeutico) è osservare ciò che si manifesta ed avvicinarsi in modo libero e consapevole all’unicità dell’individuo.

L’opera d Perls, e soprattutto lo sviluppo del modello gestaltico delle polarità, è influenzata dall’elaborazione della teoria del “pensiero differenziale” del filosofo Friedlander: “ogni evento è in relazione a un punto-zero da cui prende inizio una differenziazione in punti opposti…Rimanendo vigili sul punto centrale, si può acquisire l’abilità creativa di vedere entrambe le parti di un evento e completare l’altra metà incompleta…”. Gli opposti vengono così ricongiunti nel punto da cui avevano preso inizio: il punto-zero (individuabile sia come inizio che come centro), in cui si attua il ritorno al pre-differente, a qualcosa che non era differenziato e da cui gli opposti si erano separati. Attraverso questo processo, prima della differenziazione e di ritorno al punto di pre-differenza, si raggiunge l’equilibrio. Tale equilibrio è ricercato da ogni sistema per poter sopravvivere e soddisfare i bisogni. Il cattivo funzionamento del processo porta all’alienazione e alla nevrosi.

Nella complessa tematica della polarità si inserisce la Semantica Generale di Korzybsky: nel suo tentativo di superare il determinismo delle Leggi di Realtà e di Pensiero della logica aristotelica. Egli afferma come la realtà dinamica e contestuale dei dati dell’esistenza possa esprimersi ed acquisire significato attraverso ed entro un processo di storicizzazione del qui ed ora e spesso in ciò che non è determinato in modo fisso e conosciuto.

Perls si dedica alla definizione di un ‘metodo praticabile’ per avvicinare l’uomo occidentale alla dimensione di auto-trascendenza dello Zen. Vede il limite del metodo in un’estremizzazione sul lato opposto della auto-conoscenza poco in contatto con il mondo, ma riconosce il valore di “allargamento della consapevolezza” e di “liberazione del potenziale umano”.

Le idiosincrasie tra la Psicoterapia della Gestalt e lo Zen si evidenziano principalmente in: Consapevolezza assoluta per lo Zen e consapevolezza come esperienza soggettiva per la gestalt. Principio zen di totale sottomissione ad un maestro e di disciplina assidua che mira ad abbandonare l’ego contrapposto alla responsabilità del soggetto, del proprio percorso, e alla valorizzazione del contatto, nella gestalt.

Le confluenze con lo zen si possono ritrovare nel “mollare la presa”, cioè lo stato di vigilanza/attenzione senza aspettative, che conduce la conoscenza e permette l’attuazione permanente del ciclo del contatto/ritiro; il principio del fluire energetico del continuum di consapevolezza o flusso costante di distruzione e costruzione; la valorizzazione del qui ed ora dell’esperienza immanente e del corpo, come rappresentativo ed unificato della dimensione più spirituale dell”individuo, (principio unificatore dello zen).

Un’altra dimensione che la Terapia della Gestalt ha in comune con il Buddismo e le sue diverse forme è il principio di integrazione delle polarità, che trova il suo corrispettivo nel principio delle polarità dinamiche Yin (femminile) e Yang(maschile) del Tao, nell’anima ed animus di Jung.

Perls afferma: “in molte nevrosi, come in molte psicosi, vedo la sostanza maschile e la sostanza femminile in forte conflitto; nel genio vedo questi opposti che si integrano…”.

Non si può tralasciare la concordanza tra la concezione del corpo che ha il Tantrismo e la centralità che ad esso viene assegnata nella Gestalt, come strumento per arrivare alla consapevolezza.

La Psicoterapia della Gestalt fonda le sue radici soprattutto nella Psicoanalisi, anche se il suo sviluppo e la sua originalità derivano prioritariamente dal processo di contrapposizione ad essa. Le critiche iniziali alla teoria e metodo di Freud sono basate sull’aggressività orale. Nella Gestalt l’aggressività non è un istinto (di morte), ma una caratteristica essenziale del mangiare. Senza di essa non possono esserci l’assimilazione che porta alla crescita, a fare proprie o rifiutare le parti introiettate. L’aggressività si evidenzia allora come componente orale, un processo modellante i futuri schemi di relazione con il mondo e una delle dimensioni essenziali del contatto. Attraverso la sua espressione si sostanzia l’istinto vitale; viceversa, il timore di essa e del conflitto sono alla base della patologia nevrotica.

Il transfert viene escluso dal modello gestaltico sia concettualmente che operativamente, così come la nevrosi da transfert, intravedendo la pericolosità della dipendenza dall’analisi e dall’analista, impedendo al cliente l’assumersi la consapevolezza delle proprie responsabilità. Inoltre, leggere i contenuti del paziente solo in chiave transferale, può servire come ‘alibi'(neutralità benevola dell’analista) per non entrare in contatto con l’altro. Come il transfert non è più la strategia prioritaria di cura, così l’inconscio non ha più il suo ruolo centrale: Perls non lo nega e si accosta ad esso riportandolo al presente, lavorando con il cliente sul come (non sul perché) del manifestarsi presente dei processi nevrotici, per arrivare alla consapevolezza di ciò che in questo momento, ora, è rimosso al conscio. Il “come è tutto quello che ci serve per capire come funzioniamo”; l’ora comprende tutto ciò che esiste, l’esperienza, il fenomeno, la consapevolezza. E tutto si fonda su quest’ultimo termine: Perls infatti ritiene la consapevolezza l’unica base possibile di conoscenza e comunicazione. E non può essere raggiunta con l’utilizzo delle tecniche freudiane delle libere associazioni e delle interpretazioni delle resistenze, viste come un modo per evitare l’esperienza e dove la verbalizzazione è troppo anticipata e il contatto con le parti scisse impedito. L’ ‘oggetto’ primario dell’osservazione psicologica e del lavoro terapeutico non è più il “Sé autoriflesso” della Psicoanalisi, ma il contatto, il luogo fisico o psicologico in cui il Sé e l’ambiente stabiliscono la loro relazione e la loro esperienza.

Il percorso esperienziale gestaltico si serve anche del sogno. Perls portò avanti la concezione junghiana del “sogno come proiezione”: “…tutte le diverse parti del sogno sono frammenti della nostra personalità”, che vanno messi insieme per riappropriarsi delle parti proiettate e poterle integrare. Il sogno come tentativo di espressione e non di mascheramento.

Oltre all’importanza attribuita al lavoro sulle parti scisse e sulla loro integrazione all’interazione simbolica piuttosto che a quella verbale, va sottolineata l’attenzione dedicata alle espressioni non verbali dell’individuo. Profonda l’influenza di Ferenczi, che dà notevole rilievo al corpo e a tutte le sue manifestazioni (tecnica del radicamento, il grunding) e di Winnicott (tecnica dell’holding, di maternage,…). Ma tra coloro che hanno influenzato la Psicoterapia della Gestalt, chi più di tutti valorizza il corpo e le necessità dell’espressione totale del cliente è Reich (discarica delle tensioni, contatto fisico dell’armatura corporea,…).

Dalla fenomenologia della rappresentazione psicodinamica – Alla fenomenologia del contatto/confine gestaltico

Psicoanalisi Gestalt

1. L’inconscio  – La formazione Figura/Sfondo
2. Il Transfert – Il Contatto al Confine
3. L’Interpretazione e l’Insight – La Consapevolezza
4. Le Libere Associazioni – La Sperimentazione dell’Esperienza

Dalla Terapia della Gestalt si sono sviluppati tre principali filoni: la Gestalt del cuore (Cleveland), caratterizzata da un orientamento più emozionale e sociale, come anche possibile raccordo tra l’indirizzo teorico e quello a supporto verbale, la cosiddetta Gestalt della testa (New York e Boston, Costa Orientale) e la Gestalt delle viscere, che supporta fortemente l’uso delle emozioni del corpo e del gruppo (Costa Occidentale, da Esalen a San Francisco, Los Angeles, San Diego).

La Gestalt ha trovato applicazione in ambiti molto diversi tra loro e soprattutto si è rivelata possibile una sua integrazione con altri modelli e tecniche terapeutiche.

La consapevolezza come autoregolazione spontanea dell’organismo tra scoperta e sapere

La consapevolezza gestaltica è un insight che include
• Presa di coscienza
• Illuminazione
• Percezione intuitiva
• Autorivelazione

Insieme alla Consapevolezza (presente) : mente+corpo+contesto

L’organismo è la Gestalt, la figura emergente, la totalità in grado di autoregolarsi per la propria sopravvivenza, che si muove nel campo-sfondo della totalità, per entrare in contatto-scoperta con l’ambiente attraverso una struttura. La conoscenza-contatto dell’organismo avviene al confine del contatto, nell’epidermide, dove si verifica l’esperienza e dove l’organismo, tendente a realizzarsi spontaneamente, sa come arrivare a soddisfare i suoi bisogni (considerazione vitalistica della conoscenza). Nel suo esplicarsi l’organismo ha un’alta capacità discriminante rispetto a ciò che è buono ed a ciò che è cattivo e questo costituisce la base organica della creazione valoriale. Perls sembra andare oltre la semplice definizione corporea dell’organismo, ponendo attenzione alla “struttura”, di cui non porta una chiara definizione ma di cui rileva il processo attraverso il quale essa si evidenzia, il suo modo di funzionare (destrutturazione-integrazione-alienazione), che è analogo a tutte le strutture. La conoscenza strutturale è indispensabile per una corretta impostazione del processo terapeutico, perché solo attraverso la verifica delle differenze (contenuti del processo), che rendono una struttura organismica diversa dalle altre, si arriva a scoprire cosa rende una molteplicità un’unità.
2.2 Gli elementi costitutivi dell’approccio gestaltico: la Teoria del Sé ed il principio di responsabilità organismica del Sé

Presupposti teorici e fondamenti concettuali
• L’organismo umano funziona per crescere ed autorealizzarsi
• I bisogni costituiscono gli organizzatori del comportamento e l’essenza dell’agire
• L’organismo e l’ambiente sono in interdipendenza costante
• Il processo autoregolante non è mai stabile ma alterato da nuovi bisogni emergenti
• La patologia emerge quando il naturale movimento(attrazione/repulsione-contatto/ritiro) va fuori ritmo

La teoria del Sé (Self)

Il (Sé) non è un’entità fissa né un’istanza psichica (come l’Io) bensì un PROCESSO specifico: non è l’Essere… ma l’ESSERE AL MONDO.

La metafora del Sé si raffigura come: “Agente di contatto con l’ambiente (al presente-momento per momento) che consente lo scambio e l’adattamento creativo fra individuo/ambiente”. (Tra mondo interno/ambiente esterno).

Il luogo in cui questo processo si manifesta è il confine del contatto, cioè il confine tra l’individuo e il mondo, dove si evidenziano tutte le modalità e i meccanismi di funzionamento del Sé. Acquisire un senso di identità Coerente Coesa e Consistente = Possedere le fondamenta di un confine

Confine come dimora dell’identità, luogo di interconnessione mediante il ‘con-tatto’ (funzione osmotica che contiene l’organismo e gli consente di entrare in contatto con l’ambiente) e organo della consapevolezza (fa prendere contatto e coscienza della situazione nuova del campo).

Contatto prende forma al confine di una relazione dinamica in uno spazio comune per consentire un rapporto.
Nel momento in cui l’organismo contatta l’ambiente entra in azione la funzione-Sé, che agisce secondo tre modalità: l’Es-l’Io-la

Personalità
Gli aspetti del Sé (3 Funzioni)
La funzione ES : La percezione sensoriale (corporea) delle stimolazioni interne
ed esterne. (Pre-contatto)

La funzione IO : La definizione dei bisogni e la propria identificazione con essi.
(Contatto e contatto pieno)

La funzione Personalità:

Il definirsi nella propria storia in divenire. (Post-contatto)
La funzione Io è il fare creativo catalizzante del Sé che collega la funzione Es (di cosa ho bisogno?) con la funzione Personalità (chi sono?); se efficace il risultato sarà un comportamento autoregolativo soddisfacente per l’organismo. Altrimenti si parlerà di ‘perdita della funzione Ego’ e di resistenze come interruzioni del contatto. Le modalità di interazione funzionali o disfunzionali meglio si comprendono illustrando il ciclo del contatto-ritiro (o ciclo della Gestalt, ciclo esperienziale,…): è proprio attraverso il completamento di tutto questo processo che le Gestalt che man mano si aprono, spinte dall’insorgenza di nuovi bisogni, vanno a cercare e trovare la loro conclusione.

Tempi Pre-contatto Contatto Contatto finale Post-contatto
Fasi Orientamento Manipolazione Esperienza Apprendimento
Funzioni del Sé Funzione-ES Funzione-IO Funzione-Personalità
Modalità relazionali Confluenza, Introiezione, proiezione, retroflessione, contatto Ritiro dal contatto, egotismo
Contatto e ritiro si susseguono se il ciclo è sano. Ci sono degli elementi fondanti che strutturano l’esperienza di contatto: la consapevolezza e la direzionalità, la manipolazione (come eccitazione ed azione) e la risposta emozionale (la “consapevolezza integrativa di un rapporto tra l’organismo e l’ambiente”).

Le FASI del CICLO DEL CONTATTO SANO

1- Contatto preliminare: (Pre-contatto)
L’organismo è mobilitato da uno stimolo interno o esterno

2- Contatto:
decisione responsabile di azione verso l’ambiente
orientamento

3- Contatto pieno (finale):
fusione a confine aperto, con modalità attiva/passiva e con un’aggressività costruttiva a modifica della realtà, senso di compimento; (masticazione-CAMBIAMENTO).

4- Post-contatto (ritiro):
è la fase della digestione/ASSIMILAZIONE; precede l’integrazione dell’esperienza nella dimensione storica e di crescita.

La funzione consapevolezza assume una posizione centrale tra le qualità del Sé: aspetto fondamentale è che la funzione-Io cerativa del Sé può realizzare di volta in volta le qualità di confine necessarie alla situazione, stabilendo in base al momento ed alle corrispondenti condizioni che si delineano nel campo quello che può essere accettato, respinto, assorbito, ecc. Tutto ciò accade al confine di contatto, che assume caratteristiche di permeabilità diverse a seconda della fase di contatto in cui l’organismo si trova.

Il CONTATTO:

attraverso esso è possibile acquisire un senso del Sé e di visione del confine di contatto. Differisce dalla fusione, perché come contatto esiste solo quando c’è un senso di separazione che viene adeguatamente mantenuto

I CONFINI DEL CONTATTO:

rappresentano la dimensione psicologica che distingue una persona dall’altra, una persona da un oggetto o una persona dalle sue stesse qualità.
Confini-corpo. Sono quelli che possono limitare le sensazioni o metterle in una situazione off-limits
Confini-valore. Sono quelli che stabiliscono i valori che abbiamo e che siamo restii a modificare.
Confini-intimità. Si riferiscono a quel tipo di eventi che si ripetono spesso, ma che non possono essere pensati o, peggio, essere messi in discussione.
Confini-espressività. Sono appresi nei primi anni di vita, quando impariamo, ad esempio, a non urlare, non piagnucolare, non toccare e così via.

Ansia: la nostra energia libera

Scritto dal dott. Marco Montanari Psicologo – Psicoterapeuta, Integrazione Posturale. Pubblicato sulla rivista medica Miafarmacia magazine.

L’ansia viene legata non solo alle emozioni ed ai sensi, ma a tutte le funzioni. La definizione tradizionale di ansia è: sentimento particolare o sensazione penosa e continua, per qualcosa che sta per accaderci ma che non conosciamo. Quando l’ansia giunge a stadi di particolare intensità diventa angoscia. Nell’ansia è come se dicessimo con lo sguardo, con gli occhi e con la bocca: “non lo so”, attraverso manifestazioni di ansia vogliamo comunicare che qualcosa non ci è chiaro e ci sovrasta.

Questo particolare stato d’animo gravita nella stessa area emozionale della paura: ansia e paura possono considerarsi talvolta sinonimi. Queste due emozioni differiscono nella reazione allo stimolo, nel tipo di soluzioni che vengono messe in atto e nella rapidità dell’estinzione dello stato emotivo.

La paura è generalmente considerata un’emozione più specifica: una risposta puntuale a determinati stimoli esterni o interni, comunque reali, per cui sono previste reazioni di fuga, di difesa attiva, o di attacco. L’ansia diversamente è considerata uno stato emotivo diffuso e fluttuante, privo di un obiettivo ben definito e originato da stimoli generalmente neutri. L’ansia è uno stato psichico più complesso della paura, non soltanto perché si estingue molto più lentamente, ma anche perché è caratterizzata da una combinazione di emozioni diverse quali: disagio, rabbia, timidezza, vergogna, senso di colpa, o in positivo, eccitazione e interesse.

L’ansia generalmente riguarda eventi futuri, in questo caso comporta un atteggiamento di pre-occupazione: occuparsi prima di qualcosa che non si conosce.

Psicofisiologia dell’ansia:

I sintomi principali possono essere dispnea (mancanza di respiro), instabilità, sensazione di svenimento, tremore, tachicardia, sudorazione, sensazione di asfissia, nausea, senso di troppo freddo o troppo caldo, fastidio, costrizione al torace, paura di morire, paura di uscire fuori di senno, aumento della gestualità e dell’automanipolazione. Riguardo a quest’ultimo punto capita spesso di osservare quanto, anche involontariamente, alcune persone toccano ripetutamente parti del corpo: il naso, le unghie, i capelli.

Questi sono segnali non verbali che indicano ansia. Manipolandosi, l’individuo cerca da un lato di controllare l’ansia (che nasce anche dal conflitto tra ciò che vorrebbe e ciò che non osa fare), e dall’altro lato tenta di dare una direzionalità ai suoi movimenti: invece di orientarli all’esterno verso un obbiettivo risolutore, li orienta su sé stesso.

Gli studi più recenti mostrano che le reazioni di paura avvengono su tre livelli: il primo a livello del sistema nervoso simpatico, il secondo a livello neurormonale, e il terzo a livello dei nuclei sottocorticali del cervello. Il sistema nervoso simpatico, attivato in tutti gli stati di emergenza, comporta l’entrata in azione di sinapsi (giunzioni nervose) nel nostro cervello, le quali funzionano attraverso la mediazione di una sostanza (la norandrenalina) che ha effetto sull’attivazione cerebrale e quindi sul comportamento. Un segno tipico dell’effetto di questi mutamenti fisiologici è il dilatarsi della pupilla, probabilmente connesso alla necessità di vedere meglio il pericolo, oppure l’innalzarsi rapido della pressione e l’aumento del battito cardiaco; in situazioni di emergenza queste reazioni consentono al soggetto di mobilitarsi immediatamente e di essere pronti a reagire. Altre reazioni avvengono a livello dei surreni al fine di consentire la metabolizzazione degli zuccheri e la regolazione dell’equilibrio idrosalino, aiutando così l’organismo a reagire agli stress durante un forte dispendio di energia; i corticosteroidi, come il cortisone, emessi dalle ghiandole surrenali sono “l’olio motore” del nostro corpo, ci aiutano a fronteggiare in modo istantaneo e dinamico le situazioni stressanti.

L’organismo è predisposto naturalmente a fronteggiare situazioni estreme di pericolo e di stress; queste immediate reazioni dell’organismo sono necessarie e naturali per la nostra sopravvivenza. I segnali del nostro corpo sono anche degli indici attraverso i quali codifichiamo la realtà: se, ad esempio, il nostro cuore ha un battito accelerato o abbiamo le vertigini, deduciamo istintivamente di essere in una situazione di pericolo.

James e Lange affermavano che non si fugge perché si ha paura, ma si ha paura perché si fugge: ovvero sia prima si verifica la modificazione fisica e poi, in seguito, quella emozionale. Il problema nasce quando, nonostante la situazione traumatica e frustrante sia cessata, persiste uno stato di allarme del nostro organismo anche in situazioni neutrali, ovvero non effettivamente pericolose.

Possiamo considerare l’ansia come energia libera in sospensione. Un naturale fenomeno fisiologico che nella sua indefinizione ci sta dicendo qualcosa, il più delle volte qualcosa di difficile da accettare. L’ansia ha in realtà un grande valore evolutivo, comprensibile solo se rendiamo possibile la canalizzazione di questa energia. L’atteggiamento da assumere di fronte ad uno stato d’ansia per iniziare dovrebbe essere quello di accettazione e non di repulsione. Anziché contrastarla, sarebbe molto importante, anche se altrettanto difficile, accedere e comprendere l’esperienza emozionale che stiamo vivendo in quel momento. Dietro ad ogni stato d’ansia c’è una nostra soggettività che implora imponentemente di manifestarsi, una risorsa non ancora portata alla luce, una parte dirompente ed esplosiva che se canalizzata nella giusta direzione può diventare un enorme potenziale fisico e intellettuale -creativo. Se questa energia viene lasciata ingestita, o tentiamo di negarla e reprimerla, essa continuerà a manifestarsi attraverso sintomi che possono incanalarsi talvolta in manifestazioni somatiche.

Nella maggior parte dei casi gli strumenti per raggiungere questa capacità di accettazione e di trasformazione dell’energia ansiosa ci possono venire a mancare, travolti come spesso siamo dall’inevitabilità e dalla potenza dei sintomi. In questo caso può essere utile il supporto di quello che in Psicosintesi viene chiamato “centro unificatore esterno”, tradotto in termini di una sana e solida relazione umana che ci faccia da specchio.

All’Istituto di Psicosintesi (Centro di Bologna, tel. 051 521656 , www.psicosintesibologna.it , bologna@psicosintesi.it) si organizzano corsi di gruppo su varie tematiche (ansia, attacchi di panico, psicosomatica, senso di colpa e vergogna, sessualità) e incontri psicologici individuali.

Bibliografia del testo:

Freud S. inibizione, sintomo e angoscia (1925) vol. 10

Rank O. il trauma della nascita (1924) Guaraldini, Rimini 1972

Watson J. B. conditioned emotional reaction, J. Exper. Psicol. , vol 3, I-14 (1920)

Klein M. Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco- depressivi (1940)

Bowlby J. Attaccamento e perdita, vol.2 la separazione dalla madre (1973) Boringhieri, Torino (1998)

Oliverio Ferrarsi A. psicologia della paura, (1998), Boringhieri, Torino.

Wells A. trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia, (1999) Mc Graw Hill, Milano

De Silvestri C. il mestiere di psicoterapeuta, (1999) Astrolabio, Roma.

Inconscio ed energia

Scritto da Marco Montanari, psicologo psicoterapeuta integrazione posturale.

Considerando che l’ottanta per cento delle nostre azioni non sono decise da una volontà cosciente, ma condizionate da un influsso sub-cosciente, vogliamo qui considerare, in una breve parentesi conoscitiva, l’arduo e importante argomento dell’inconscio. Freud, dando grandissima attenzione all’inconscio, fu il pioniere della psicologia moderna. In realtà l’esplorazione dell’inconscio è da sempre esistita, dall’uso dei riti sciamanici e dalle esplorazioni transpersonali introdotte nei gruppi tribali. Il fine era sempre curativo ed esplorativo. Dobbiamo ricordare che Freud proveniva da una sana e repressa società Vittoriana d’inizio ‘900 che ingabbiava le donne con l’uso comune del busto e reprimeva gli istinti sessuali, dove le peggiori patologie erano paresi da conversione isterica, afasie, nevrosi di ogni genere. La Vienna dell’epoca era un collettivo che pullulava di cultura e positivismo, mescolato al romanticismo tedesco, nel quale vi era un forte ritorno alle forze della natura e al corpo.

In questo contrasto tra passione e repressione, tra la forte necessità di rompere i tabù e l’emergente esigenza di inquadrare scientificamente gli inspiegabili movimenti della psiche, Freud creò un setting adeguato, caratterizzato dal paziente che si racconta sdraiato sul lettino e l’analista, impegnato in un ascolto silenzioso. Questo fu il principale strumento dell’epoca per un’esplorazione del subcosciente. Tra analista e paziente non vi era alcuna relazione emotiva, alcun dialogo, nessuno scambio reciproco, ma semplicemente uno spazio che permetteva di allentare le briglie del cavallo impazzito degli istinti e delle fantasie, lasciando adito ai movimenti psichici più repressi.

Secondariamente alla rilevanza dell’inconscio, un altro grande merito di Freud fu quello di aver dato un appellativo alla forza che lo muove e che ne determina le sue manifestazioni, un’energia che nominò libido. La scoperta dell’inconscio rimarrà sempre una scoperta indiscussa per ogni psicologo e analista futuro ed è un fermo punto di partenza per conoscere l’uomo nella sua autenticità e realtà intima. Scrive Assagioli: “l’importanza della scoperta dell’inconscio è stata paragonata alla scoperta dell’America, di un nuovo continente.”

Non è compito facile definire in poche e semplici parole l’inconscio usando termini comuni e accessibili a tutti, essendo l’inconscio per sua natura talvolta inafferrabile e di difficile classificazione oggettiva. La sua inafferrabilità rende il rapporto con esso ancora più ostico e lontano, per questo motivo viene spesso riservata a pochi l’esplorazione dei suoi meccanismi e delle sue realtà. Mi rincresce verificare la comune difficoltà del rapporto tra ogni uomo e le sue dinamiche inconsce. Nella fattispecie un buon rapporto con tali forze permette infatti di migliorare la qualità delle nostre vite elevandole da una condizione in cui ci lasciamo vivere verso una piena vita, da un esistenza per condizione ad un esistenza per decisione.

Avviciniamoci al tentativo di sviscerare questa definizione. Possiamo paragonare l’inconscio alla musica o all’energia elettrica; comprendiamo cos’è la musica solo se viene provocata una vibrazione, un’insieme di vibrazioni formano una melodia ed essa ha un effetto dentro di noi; allo stesso modo l’energia elettrica la vediamo se causa una forte scossa, quando aziona un elettrodomestico o accende una lampadina. L’inconscio può essere paragonato ad una stagione; per spiegare cos’è una stagione passiamo attraverso l’osservazione diretta delle sue caratteristiche. L’inverno ad esempio lo riconosciamo per il clima freddo, gli alberi spogli, l’accorciarsi delle giornate, la primavera per la comparsa dei primi caldi, per lo schiudersi dei primi fiori, per il volo delle rondini.

Così la definizione di inconscio non può essere slegata dalla manifestazione dei fenomeni. In particolare esso è legato all’osservazione dei fenomeni non volontari, non coscienti, che sfuggono al controllo e alla consapevolezza personale. Pensiamo, per esempio, quando persiste nella mente un pensiero senza volerlo, magari un banale motivetto musicale che non riusciamo ad azzittire, e si oppone ostinatamente alla nostra volontà cosciente di scacciarlo. Oppure si presenta un’impellente necessità, un bisogno, un impulso. Quando siamo governati da queste forze a volte tutto il resto passa in secondo piano, in quel momento l’inconscio è più forte. Tutte le volte che compiamo atti o diciamo parole senza volerlo, o quando non riusciamo a svolgere un compito, a concentrarci, perchè continue distrazioni come sensazioni, stati d’animo, pensieri ricorrenti invadono il nostro campo percettivo. Anche quando sogniamo, attività oniriche negative, incubi, fantasie coronate da immagini fastidiose, stati d’animo, umori, in quel momento i fenomeni dell’inconscio si manifestano. Almeno una volta al giorno siamo assoggettati da questi movimenti interni. Non parliamo dell’inconscio soltanto attraverso attributi negativi, esso è amico ed alleato e ci viene incontro se pensiamo a tutte le ispirazioni, le intuizioni, le rivelazioni, i sentimenti altruistici o quando dopo aver imparato qualcosa possiamo ripeterla, senza impararla di nuovo, pensiamo all’abilità di guidare un’automobile o imparare un mestiere, una lingua, fino a tutte quelle esperienze che ci hanno arricchito.

Alleato o nemico che sia, per comprenderlo ed usufruire delle sue energie dobbiamo prendere in prestito le qualità della sua eterna antagonista: la coscienza. Il rapporto tra inconscio e coscienza è come quello tra bene e male, tra vita e morte, non si può parlare dell’uno se non c’è l’altro. Il termine energia legato all’inconscio è usato la prima volta da Jung nel 1928 quando nel saggio “energetica psichica” si discosta dall’approccio interpretativo di Freud e dalla visione meccanicistica degli elementi inconsci. Jung introduce una visione completamente energetica. Afferma che gli elementi inconsci non vanno visti come fenomeni consequenziali e causali, ma energetici. Avvicinarsi alla concezione energetica significa comprendere l’essenza profonda di ogni fenomeno inconscio, il profondo significato, partendo dall’esperienza diretta. Dal termine libido quindi, che significa dal latino desiderio, Jung passa ad una concezione di energia psichica simile a quella di energia vitale. Possiamo chiamarla anche la forza vitale intrinseca espressa in ogni fenomeno inconscio. Per questo motivo Jung insiste molto sulla necessità di conoscere simboli e archetipi per sperimentare, comprendere, connetterci e usufruire delle energie in essi racchiuse. Ritengo che aprire le parentesi concernenti questi termini porti ad inoltrarci in contenuti molto ampi che possono forse annoiare il lettore, pertanto mi soffermo sul tentativo di sottolineare l’importanza del confronto tra inconscio e vita quotidiana. In particolare parliamo della esplorazione delle parti subcoscienti nella relazione terapeutica.

Il lavoro psicoterapeutico è principalmente un percorso di contatto dei nostri vissuti. La psicoterapia nell’immaginario comune è vista come un difficile “scavare” dentro se stessi, trovare e risolvere fantasmi del passato che incombono pericolosamente sul presente. Il contatto con la ferita è il principale lavoro di un percorso psicoterapeutico. Perchè questo bisogno di ricontattare parti così dolorose e negative? Perchè questa diventa una prerogativa di cura? Le ferite e i traumi, come ogni altro fenomeno inconscio, rappresentano energie importanti che necessitano di essere ricontattate e sciolte. Sono momenti di vita molto forti capaci di aver interrotto le possibilità di evolverci e di gioire. I momenti di sofferenza possono portare ad un cambiamento significativo. Sono momenti che hanno interrotto un libero fluire delle nostre esistenze. Ritornare nella ferita significa tornare nuovamente davanti ad un limite che non è stato sciolto in passato, dove non c’è stata la possibilità di accogliere, contenere e risolvere un vissuto troppo grande che ci ha fermato. Ricontattare queste parti significa riappropriarci di un contenuto vitale inconscio. I sentimenti non espressi in passato contengono un alto voltaggio energetico di cui dobbiamo poter usufruire nel qui ed ora. Pertanto queste esplorazioni, pur dolorose che siano, ci rimettono in relazione con importanti e intensi tratti di noi stessi. Molte volte quando queste realtà interiori sono molto forti e troppo difficili da sostenere, l’aiuto di uno psicoterapeuta diventa un occhio attento, uno specchio, un contenitore, una guida.

Con lo sguardo rivolto al traguardo di una vita armoniosa, possiamo definire la felicità quella gioia di esserci in modo creativo, aperto, dato dalla possibilità di fluire senza attaccamento a questo o a quello, ma in una consapevolezza presente e partecipe. Il contatto continuo e dinamico con le energie dell’inconscio ripristina questo dinamico fluire e scioglie le briglie che lo hanno ostacolato in passato, ci permette di connetterci nuovamente con una profonda vitalità. L’armonica mutabilità esterna diventa specchio di un armonico fluire interno, che non è assenza di vincoli, ma capacità di scelta, direttività e intenzione di conoscenza.