Lavoro connettivale sulle fascie e vissuto della persona
Scritto da Marco Montanari, psicologo psicoterapeuta integrazione posturale.
In questo breve articolo desidero volgere l’attenzione su alcuni punti importanti per raggiungere un completo rilascio fasciale e porre uno sguardo alla stretta connessione tra tessuto connettivo e personalità.
Ho sentito sempre più l’esigenza di chiarire questi punti riscontrando spesso, nella mia esperienza, che un rilascio muscolare puramente tecnico non è l’intervento definitivo e duraturo sulle fasce e sulla postura. Per esempio, se desideriamo liberare manualmente muscoli intorno al collo come scaleni, sternocleidomastoideo o prevertebrali, dopo una seduta possiamo verificare che alla prima situazione, spesso relazionale, nella quale la persona ritorna in contatto col medesimo conflitto che ha provocato le sue tensioni, si ripresentano le stesse restrizioni muscolari o corazze posturali.
Gli studi di Stanley Keleman da un punto di vista dinamico, e di Candace B. Pert da un punto di vista più biologico molecolare, hanno assodato oramai da tempo l’inscindibile relazione esistente tra tessuto muscolare, postura e vissuti personali. Impatti emotivi dell’ambiente o sistemi di credenze sono in grado di modificare il nostro corpo in nuovi e sempre mutevoli adattamenti. In particolare, il corpo diventa contenitore di traumi o pesi (soma) avvenuti troppo in fretta o non elaborati. Possiamo immaginarlo come un momentaneo deposito nel quale stagnano emozioni non assimilate o non indirizzate espressivamente nell’ambiente.
Se ritorniamo al nostro obiettivo di liberare muscoli intorno al collo, diventa quindi complementare all’utilizzo corretto del lavoro sul connettivo insieme alla conoscenza dei tessuti e l’attenzione al contenuto emotivo – espressivo celato dietro le tensioni. Una restrizione al collo può racchiudere, ad esempio, un’emozione di tristezza o paura, e se questo vissuto non viene portato a consapevolezza, automaticamente una nuova emozione di tristezza o paura rigenererà lo stesso schema.
In altre parole, nelle tensioni muscolari sono racchiuse parti di noi che non hanno avuto uno spazio, che non sono riuscite ad esprimersi. Proviamo per un attimo a chiudere gli occhi focalizzando l’attenzione su una parte tesa del nostro corpo e proviamo a rispondere a questa domanda: “Chi sta tendendo? Chi è responsabile di questa forza?”. La risposta è, inevitabilmente: “noi” o se vogliamo, una parte di noi che sta funzionando automaticamente, al di fuori del nostro controllo cosciente.
L’importanza dell’atto di consapevolezza diventa quello di conoscere, possedere e indirizzare tale attività energetica subcosciente che si manifesta in restrizioni fisiche – comportamentali stereotipate, verso attività più flessibili, aperte, dinamiche ed espressive.
Il lavoro sulle fascie connettivali diventa, così inteso, una sinergia tra l’attività manuale sulle fasce e di dialogo con parti della persona che sottendono tali tensioni.
Metaforicamente possiamo pensare che non è possibile pretendere di entrare, con modalità irrompente, dalla porta di un’abitazione senza chiedere il permesso a chi la abita, allo stesso modo non è possibile lavorare sull’apertura di una fascia muscolare senza rispettare l’ospite, ovvero quella parte di noi che la anima.
Da qui verifichiamo la coesistenza tra corazza muscolare e personalità o subpersonalità, (etimologicamente dal greco persona significa maschera). Con personalità possiamo intendere l’organizzazione relativamente stabile del rapporto dell’individuo con il mondo esterno, ovvero sia il nostro modo di essere al mondo in un determinato momento ed in relazione ad un certo ambiente sociale e fisico. Allo stesso modo quella struttura corporea costituita da tensioni, posture e atteggiamenti in risposta ad adattamenti ambientali, si manifesta con schemi motori ripetuti ed automatici in maniera consistente nel tempo, e non è modificabile assumendo semplicemente posture differenti o cambiamenti comportamentali imposti.
Infatti, liberare in modo risolutivo una tensione corporea non significa applicare una tecnica. La richiesta comune delle persone è spesso quella di togliere un dolore, un male, come se una tensione fosse qualche cosa di esterno a noi, che non ci riguarda personalmente ma semplicemente qualcosa di fastidioso e da eliminare. In questa visione ricadiamo nell’abitudine di vedere il nostro corpo come un oggetto, come un utensile che si è rotto e non funziona bene, e lo portiamo a “riparare” da una persona che conosce bene la “meccanica” del problema e ci elimini il fastidio nel minor tempo possibile, auspicabilmente nella maniera più indolore. Così facendo tralasciamo la connessione tra il nostro corpo e la nostra identità, dimenticandoci che il corpo è lo specchio della nostra vita e del nostro esserci al mondo: ogni tensione è il modo migliore che abbiamo di manifestarci in un momento particolare della nostra esistenza, è una parte di noi che si esprime nel qui ed ora.
Per dare movimento e direzione a queste “esistenze” bloccate, accanto ad ogni manovra sul tessuto connettivo è importante dedicare uno spazio a processi d’intensificazione espressiva delle tensioni, attraverso il respiro, il suono, il dialogo.
L’uso del respiro intensificato sull’inspirazione per caricare a livello energetico il tessuto e successivamente intensificato sull’espirazione per favorirne il rilascio durante le manovre connettivale, è uno strumento diretto che agisce sul sistema nervoso, ed accanto alla liberazione muscolare favorisce una liberazione espressiva ed emotiva. In questo, un particolare ringraziamento va al metodo Painter: ritengo utilissimo l’uso dell’onda energetica e della direttività dell’energia fine, come strumento attivo nel rilascio somato-emotivo-connettivale.