Ciclo vitale e desiderio

Scritto dal dott. Marco Montanari Psicologo Psicoterapeuta Integrazione Posturale.

In natura si manifestano eterni cicli di movimento e di quiete. Una pioggia scrosciante precede la comparsa dei primi raggi di sole e calmi cinguettii di uccellini. Un’impetuosa tempesta di sabbia volge nel silenzio delle dune al tramonto. Il violento moto ondoso converte in una placida bonaccia. Ogni celebrazione vitale arriva alla massima espressione poi tende alla quiete e si risolve in essa. Anche il movimento stesso contiene la quiete. L’agitazione torrenziale di tonnellate d’acqua delle cascate di Iguazu rivelano una maestosa e intrinseca quiete. Ho potuto sentire davanti a quella presenza una natura divina e imperturbabile, una staticità spirituale in armonia col movimento. Ancora più immediato è percepire il continuo ciclo di azione e riposo negli avvenimenti tangibili. Antiche civiltà, come quella greca, raffiguravano il tempo con l’immagine di una ruota che gira su se stessa. Il rito e le ritualità, i loro gesti che si ripetono, sono sempre stati simbolo di eternità, chiave d’accesso alla dimensione spirituale. La vita è un’eternità di movimento e quiete.

Nel nostro organismo l’attivazione e la quiete sono regolate dal sistema nervoso autonomo: il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico.

Il piacere in molti casi è riduzione di una tensione. Si prova una piena soddisfazione dopo un intenso sforzo o un’intensa eccitazione: l’orgasmo, ad esempio, è la risoluzione dell’eccitazione sessuale. Il passaggio dalla fatica al riposo, dall’emozione negativa a quella positiva, attraversa tutta la gamma dei vissuti, dai più piacevoli ai più dolorosi.

Riuscendo a vivere pienamente e intensamente questo fluire di stati d’animo, favoriamo il passaggio da un sistema ad un altro in un armonioso flusso vitale. Diversamente, se per qualsiasi motivo ambientale, culturale, morale, personale, le reazioni emotive sono bloccate, i due sistemi possono interferire a vicenda o sovrapporsi. È il caso in cui un’emozione non si esprime pienamente o non è possibile riconoscere fino in fondo uno stato d’animo. Le azioni perdono così di intensità e d’efficacia con il risultato di non riuscire a volte a portare avanti con chiarezza un compito o un progetto. Anche il riposo ed il sonno possono risultare disturbati, ci possiamo sentire “sfasati” portandoci dentro qualcosa di irrisolto. La tendenza verso la quiete è una necessità dinamica, serve ad armonizzare un movimento che si conclude. La condizione di quiete che intendiamo qui non è un vuoto sterile, tutt’altro, è quell’appagamento che posticipa un’esperienza pienamente vissuta. Ogni riorganizzazione ed ogni sintesi avviene nella quiete, è un balsamo che ammorbidisce il ricordo degli sforzi compiuti, risolve e ferma un’insofferente avanzare senza sosta.

Molti disagi sono dovuti alla mancanza di momenti di quiete. Spesso siamo come treni in corsa senza stazioni. Quando dialoghiamo, i discorsi iniziano e finiscono, nel mezzo ci sono intervalli, respiri, le frasi scritte alternano virgole e finiscono il periodo in un punto. Nonostante siano diverse le rappresentazioni delle pause, tutte le lingue del mondo rispettano questi intervalli, essi sono universali.

L’attività la conosciamo molto bene, la quiete un po’ meno. Durante una giornata mentre siamo impegnati in un’attività attendiamo attimi più piacevoli volgendo l’attenzione a ciò che deve ancora accadere. Il piacere viene posticipato, attribuito ad un momento migliore rispetto al qui ed ora. Il presente diventa un luogo di passaggio verso una situazione futura più consona in cui finalmente rilassarci e godere. Quando lavoriamo pensiamo al break dell’aperitivo, durante un incontro non vediamo l’ora di tornare a casa, se stiamo per andare in vacanza contiamo con impazienza i giorni che mancano.

Guardare altrove è il preambolo del desiderio: se non ci proiettassimo nel futuro non potremmo desiderare. Ma va distinta l’immagine del desiderio da quella destinata ad essere una fuga da un presente carente di soddisfazioni. L’essere altrove può diventare un’attitudine per portarci lontano da una frustrazione. Allora scalpitiamo nel presente e camminiamo sui carboni ardenti! A volte è tale l’inquietudine da abituarci ad essere distratti da qualsiasi altra cosa.

Questi momenti sono un’importante occasione per prendere consapevolezza di quanto sia importante scegliere un’altra destinazione, cambiare meta, iniziare un nuovo viaggio, scandire la nascita di un nuovo desiderio.

Il percorso del desiderio è come il viaggio dell’eroe, come la storia di Ulisse. L’eroe parte da casa con un’idea di conquista ben precisa, affronta le sfide lungo il percorso e torna. È diverso, cambiato. Gli ostacoli mettono a dura prova le sua capacità, temprano il suo coraggio. L’eroe non sa quando rincaserà, nemmeno è a conoscenza prima del tempo di quanti e quali impedimenti dovrà ancora incontrare, sa solo che si opporrà fermamente a tutte le contrarietà senza perdersi d’animo. Una volta raggiunta la meta sarà diverso, un uomo nuovo, con nuove qualità e valori. Nel suo viaggio Ulisse rimane solo, i suoi compagni non riescono a superare gli ostacoli, tutti muoiono dispersi mancando di rivedere la loro casa. Ulisse invece riesce a tornare. Rimane fedele a due aspetti: in primo luogo non perde mai di vista la meta, in secondo luogo, ma altrettanto importante, è abbastanza temerario e furbo da far fronte a tutte le difficoltà. Sono entrambe attitudini necessarie in un desiderio.

Un’attenzione impaziente e concentrata verso la meta rischia di trascurare il presente. Un presente troppo ostico, difficile, ancora lontano da come lo vorremmo vedere, non accettabile.

Il desiderio è quindi come una grande onda che cresce e si esprime al massimo delle sue potenzialità, si realizza e poi decresce e si riposa. È l’intero viaggio dell’eroe. È come il tragitto del giavellotto che compie una ampia curva nel cielo e poi affonda nel terreno. Ma nell’intero arco altri flussi di carica e quiete si alternano. Uno per ogni prova, uno per ogni momento cruciale, uno per ogni giornata, uno per ogni istante. Infiniti e continui impeti dove ci scontriamo e ci riposiamo, ci disorganizziamo e ci riorganizziamo. Alla fine di un ciclo nella sospensione metabolizziamo, ricoordiniamo. Una delle strategie di guerra più importanti descritta nei trentasei stratagemmi cinesi è quella di sapersi fermare, aspettare pazientemente, osservare, per dedicarsi nel migliore dei modi all’atto successivo.

La veloce turbolenza degli eventi quotidiani e le richieste dell’ambiente non danno spazio alla nostra onda di scendere, di riposarsi e concludersi. Questa pausa tarda ad arrivare o addirittura non arriva mai. Con difficoltà guardiamo il valore delle azioni raggiunte. Ogni cosa perde il suo merito per impegnare energie verso ciò che è più utile, più urgente e imminente.

Sono rari i momenti in cui “scendere”, detensionarsi, in cui poter contemplare gli eventi appena accaduti o poterne vedere gli effetti.

Momenti in cui le cose si assimilano, vengono metabolizzate, come tanti granelli di sabbia nell’acqua che si depositano e trovano il loro posto.

La contemplazione è quello stato in cui lasciamo scorrere il flusso dei pensieri e dei giudizi per osservare i fenomeni come sono, nella loro essenza, nel loro significato. Contemplazione e concentrazione sono le chiavi della comprensione.

Riguardo alla concentrazione Keyserling scrive: “la facoltà di concentrazione è la vera e propria energia propulsiva del nostro intero meccanismo psichico, non v’è nulla che ne aumenti la capacità operativa quanto il suo potenziamento, e ogni successo, in ogni ambito, è riconducibile allo sfruttamento intelligente di tale energia. Non v’è ostacolo che possa resistere durevolmente a un’energia volitiva eccezionale, concentrata all’estremo”. Quando ci concentriamo è come se raccogliessimo tutte le schegge sparse di un vaso infranto e le incollassimo accuratamente. La vita stessa tende per sua natura verso uno scopo, verso la realizzazione e verso un proprio intento. Il processo vitale è un’opera di armonizzazione e sintesi, un processo di per se stesso sintropico, cioè dotato di una sua energia coesiva.

Il desiderio quando è connesso alla vita è incluso in questo processo, la sua onda cresce si attiva al massimo, si realizza e decresce. Ogni fenomeno di quest’onda è un’azione concreta, sia negli aspetti dinamici che in quelli di quiete, le forze propulsive sono la concentrazione in quello che si sta facendo, la contemplazione di quello che si è già fatto e una sana e concreta aspirazione verso la meta.