Illusione e Desiderio

Scritto dal dott. Marco Montanari Psicologo Psicoterapeuta Integrazione Posturale.

Al risveglio dal sonno, nel varcare la sottile linea che separa la dimensione onirica da quella reale compiamo piccoli rituali come stirarci il corpo, lavarci il viso, vestirci o bere una tazza di caffè; questi diventano utili automatismi per riportarci, più o meno velocemente, nel campo del conosciuto.

La realtà si fa afferrare attraverso gesti volontari e involontari che stimolano la nostra attenzione e ci sottraggono gradualmente alle mareggiate dell’inconscio, fino al punto in cui è possibile affermare con certezza di “essere qui”. L’atto più spontaneo e naturale tra le braccia di Morfeo, è quello di cedere alle lusinghe di un ricco banchetto onirico, dolcemente trasportati in un viaggio bizzarro incontrollato da accettare così com’è.

L’opposto di quello che accade nello stato di coscienza vigile, quando gli occhi ben aperti sul mondo, dovrebbero abilmente distinguere l’illusione dalla realtà e non perdere mai di vista la rotta. Ma sebbene una serie di incontri, stimoli, seduzioni e relazioni siano profilo della normale routine e delle interazioni quotidiane, non è scontato avere padronanza delle dinamiche che sottendono tutto ciò, così come non è scontato conoscere i condizionamenti nei quali siamo direttamente, e talvolta passivamente, coinvolti. Infatti proprio nella serie di scambi fisici e psichici che ci competono e con i quali ci confrontiamo in maniera quasi automatica, prendono forma le più ingannevoli illusioni, i più subdoli tranelli. E spesso non è chiaro nemmeno cosa stia succedendo realmente, o come sia possibile accorgercene e prevenirne gli effetti, se non addirittura evitarli.

L’ambiente non ci aiuta, non si esplicita nelle sue molteplici sfumature, non si palesa chiaramente nell’inganno.

Potremmo domandarci se qualcuno di noi davanti all’immagine di un cartellone pubblicitario, di una foto di una rivista o di una icona del web si sia potuto sottrarre abilmente all’immediato cambiamento del proprio stato d’animo, o sfuggire ad una tentazione aggiunta, ad un pensiero in più, o ad un desiderio a cui non avrebbe mai pensato. Certe influenze agiscono subdolamente, inaspettatamente, senza necessariamente un coinvolgimento cosciente.

Per usare un noto termine freudiano, continuamente rimaniamo  “libidicamente” mossi da forti stimoli seduttivi e inebrianti, che suscitano una reazione inconscia più forte rispetto all’azione cosciente.

Non c’è illusione più pura di quella che risponde all’immediato principio del piacere e si delizia della tempestiva richiesta della carne, dei sensi e dell’ego. Un piacere che ha il sapore di una gioia apparente, di una gioia “ben mascherata”: la regina delle generalizzazioni. Quante volte affermiamo: “mi piace, mi eccita, mi rapisce, mi fa impazzire”, oppure: “mi disgusta, mi repelle, mi ripugna”. Quante volte siamo sedotti da rapaci momenti in cui, sotto l’effetto delle reazioni più fulminee, travisiamo il vero nome di ciò che ci attrae e ci repelle e non ne riconosciamo la natura illusoria?  Il principio del piacere, nell’istante in cui si manifesta, è anche il principio della contraddizione, è una luce riflessa come quella di un miraggio, è l’effetto risucchiante di un perdersi senza tempo e causa. “Mi piace, lo prendo, mi stomaca, me ne vado, mi colpisce, lo voglio, desisto, soccombo”, in tutto questo la mente rischia di esaurirsi rimbalzando tra innumerevoli opportunità prive di radici e di centro.

L’illusione è in grado di arrivare direttamente all’inconscio e non teme nessun guardiano. Di fatto se ci accorgessimo di essere sotto l’effetto di un’illusione, se ne fossimo consapevoli, essa cesserebbe di esistere immediatamente e perderebbe il suo potere di illuderci. Quando si afferma: “è una persona molto suggestionabile”, “cambia facilmente idea”, “muta di volta in volta l’umore”, il processo psichico della suggestione si muove direttamente dall’ambiente, dagli oggetti e da personalità più forti e carismatiche che non usano necessariamente la seduttività con costrizione.

In questo aspetto la suggestione è molto simile all’illusione, sostituisce la realtà con una nuova realtà. Diventa una nuova verità auto riproducibile, creata autonomamente. Così se la riuscissimo ad utilizzare consapevolmente potremmo cambiare intenzionalmente uno stato d’animo o addirittura il corso di un evento.

Quando parliamo di suggestione non intendiamo sempre qualcosa di negativo, ma anche del potere di risvegliare qualità innate, sfruttando la plasticità della mente a vantaggio personale e a fin di bene. In questo caso “essere molto suggestionabili” può addirittura risultare un merito. Il potere di certe immagini ci può riportare ad uno stato di quiete o di forza, come ad esempio possono essere la raffigurazione di un fuoco, del sole, di uno spazio sconfinato, che internamente riescono ad evocare sensazioni energiche e vigorose, forse quelle che stavamo cercando e di cui avevamo bisogno. La ricerca di catalizzatori, modelli, simboli ed esperienze cariche di profondi significati diventa una fonte primaria di nutrimento per la nostra psiche, soprattutto se vengono da una lucida scelta indirizzata verso una direzione voluta. Ogni parte di noi ha bisogno di essere nutrita e diretta, colmata proprio in quei vuoti, così antichi e angusti, dov’è possibile l’infiltrazione di qualsiasi agente illusorio.

Fino a dove possiamo arrivare a scegliere? Fino a dove riusciamo a rispondere alla domanda: “da cosa sono illuso?” e a riconoscere la “grande sbandata” che feconda il terreno più fragile della nostra personalità?

Potremmo domandarci se riusciamo a riconoscere che ci ritroviamo in atmosfere piene di meraviglie e di non sensi. Come Alice nell’opera di Lewis Carroll, che ad ogni incontro si ritrova in una giostra confusa che va dal coniglio bianco al cappellaio matto alla lepre marzolina, trasportata indiscriminatamente nel cerchio intermittente tra abbaglio e realtà.

Tutto ciò che ci illude è in grado di toccare le corde più nascoste e sensibili, è in grado di privarci di quelle facoltà mentali che danno alla realtà una precisa connotazione. Per quanto possiamo impegnarci a cercare cause fisiche o visibili di questo fenomeno così misterioso, la sua azione agisce lasciandoci un grosso punto interrogativo. Perché siamo attratti proprio da una certa situazione, da una certa persona, e non da un’altra? Perché certi eventi sono in grado di farci perdere la ragione? La risposta a questa domanda a volte si scosta da una logica conosciuta.

Se compissimo un viaggio a ritroso per arrivare all’origine di questo imperscrutabile magnetismo dovremmo forse ritornare a quel gioco di sguardi, voci e teneri contatti che costellava le nostre relazioni infantili. L’eden dell’infanzia è stato un brodo primordiale di illusioni, di magici accadimenti, di spontanee interazioni. Tutto era estremamente accessibile, il piacere e il dolore erano sensazioni esasperate che si risolvevano in una magica simbiosi. Non è possibile chiedere alla nostra esperienza, seppure adulta, di dimenticare questa parte importante e totalizzante, di evitare quelle irresistibili sensazioni da “culla iniziatica”. Esse rimangono presenze archetipicamente consolidate nel profondo inconscio di ognuno di noi, costituiscono la relazione originaria in cui tutte le possibilità prendevano forma, riemerge ancestralmente in ogni situazione che ha il potere di renderla di nuovo attuale. Quella completezza e quell’appagamento rimangono dentro come una nostalgia, come una profonda incompletezza, come un ricordo idilliaco.

Allora possiamo a questo punto affermare che ognuno di noi porta con sé un’antica mancanza che cerca di colmare per tutta la vita. Questo accomuna l’illusione al desiderio, poiché anche qualsiasi desiderio, virtuoso o ignobile che sia, è lo specchio, parziale o totale, di ciò serve a completarci.

L’oggetto del desiderio, al di là della sua natura, altro non è che una sovrapposizione delle nostre immagini interiori condensate, e la sua potenza aumenta o diminuisce in relazione alle continue trasformazioni interiori ed a ciò che di complementare riesce ad appagarci nel corso della nostra crescita. Ecco che il nostro stato d’animo può oscillare tra l’esaltazione di aver trovato la chimera agognata e l’angoscia di essere nello stesso tempo sedotti e abbandonati, soprattutto quando ad essere frustrate sono le nostre aspettative.

Desiderare significa confrontarsi con la grandiosità di un percorso che, per quanto bello e potente, deve forzatamente passare dalla stretta fessura della realtà e pulirsi da ogni residuo illusorio. Per quanto entrambe, illusione e desiderio, abbiano la stessa funzione di colmare un vuoto, la loro differenza sta proprio nel riempirlo veramente o lasciarlo in sospeso.

Quindi restituire al desiderio la possibilità di assumere una consistenza concreta e trasformare ogni aspetto illusorio è un passaggio cruciale. In questo ci troviamo costretti a declinare il nostro senso di onnipotenza quando ci troviamo alla mercé di un inconscio indomito e selvaggio in cui tutto è il contrario di tutto. Come bambini, che si sentono i padroni del mondo quando vedono le loro richieste realizzarsi e si devono poi ravvedere crescendo, così anche noi, confrontandoci con la necessità di dare un senso ai bisogni, siamo costretti a ridimensionare i nostri capricci illusori, rieducando e indirizzando saggiamente tutte le fantasie effimere.

Corpo e Trauma: approfondimenti sulla tecnica miofasciale

Scritto dal dott. Marco Montanari Psicologo Psicoterapeuta Integrazione Posturale.

Questo vuole essere un articolo rivolto a chi, direttamente o indirettamente, si dedica o è eccezionalmente interessato al lavoro corporeo. La tecnica di cui parliamo, quella miofasciale, l’ho privilegiata per immediatezza ed efficacia rispetto ad altri modelli da me conosciuti. Ritengo che il lavoro sulle fasce sia essenzialmente un richiamo alla vitalità, un atto di forza in cui terapeuta e paziente aiutano sinergicamente l’anima a ritrovare la sua sede originaria nello scrigno del corpo. Molte volte farò uso del plurale perchè è un’attività interattiva tra chi la infonde e chi la riceve. L’incontro diventa allora una sana occasione per metabolizzare e rendere meno offensivi gli eventi traumatici incistati, più o meno profondamente, in aree corporee specifiche, impedendone la loro corretta funzione.

Accade spesso che sin dal primo momento i pazienti non raccontino nulla della propria storia, ma chiedano solamente di “agire”, nel modo più veloce e risolutivo possibile, sui rapporti incongruenti col corpo. Ben presto mi accorgo che la maggior parte di loro ha alcune zone, come quella del bacino, in un certo senso anestetizzate, sconnesse e spesso scattano involontariamente “muovendosi da sè”, prive di azioni compiute. Altre aree, come il petto, il collo o l’addome, non permettono nessun tipo di movimento forte che aumenti il calore o l’eccitazione locale. In altre parole, è come se ogni volta il lavoro sulle fasce portasse i pazienti davanti a sensazioni talmente forti da indurre spropositate reazioni di stupore o smarrimento. Dopo le sedute, una folla variegata di percezioni sconnesse si presentano anche in momenti diversi della giornata, lasciando spazio ad un senso di ingestibilità, che acuisce sentimenti di vergogna o estraneità nei rapporti.

La relazione col corpo è talmente connessa ad un senso di identità da essere la cartina tornasole rispetto a tutto ciò che avviene nelle relazioni esterne. Una maggiore armonia col proprio corpo sarà, nel contesto, indice di un equilibrata intesa col mondo. Un po’ come nei proverbi cinesi, dove vige il binomio tra ordine interno e ordine esterno. Infatti, come chiaramente emerge nel pentolone alchemico delle sedute, molti pazienti appaiono sospesi, assenti, talvolta irraggiungibili, come se fossero immersi in una profonda palude fatta di atmosfere stagne e prive di gravità. Per tendenza controllano sempre il mio operato, sono sintonizzati su ogni minima variazione del mio stato di coscienza, gli occhi sono vigili come quelli di animaletti impauriti, vogliono sapere angosciosamente se qualcosa non va, se è successo qualcosa o se qualcosa sta per accadere. I traumi profondi acuiscono un senso di allerta all’ambiguità, all’imprevedibilità, soprattutto nei confronti di un terreno impervio e minaccioso, la cui paura è conferma di quanto sia già stato calpestato o subito, in un passato indefinito. Il delicato compito del terapeuta diventa da un lato quello di soddisfare la richiesta di risolvere un problema in modo forte e risoluto, dall’altro quello di rimanere vigile davanti a fenomeni difficilmente controllabili ed arginabili, che, una volta aperto il vaso di pandora, possono facilmente riacutizzare il trauma d’origine. È come essere davanti al detonatore di una bomba senza sicura, il cui bottone potrebbe essere spinto per sbaglio da un momento all’altro. Vorrei quindi sottolineare come, in molti casi, il nucleo del trauma va raggiunto gradualmente, rispettando un’ascesa che attraversa delicati livelli, da quello mentale a quello fisico.

In un territorio straniero è necessaria una mappa ben tracciata per orientarsi, così nell’approccio corporeo ritengo che lo strumento d’eccezione sia fornito dalle linee guida dei diagrammi psicosintetici.

Per capirne l’effetto, pensiamo alla forza che nasce da un pensiero. La sua intensità aumenta proporzionalmente se espresso attraverso un’immagine, un’emozione, o un’azione. Ora, visualizzate un uomo che afferma la semplice frase: ” ci sono!”. E concepitelo mentre si impossessa dell’immagine che più possa rappresentare tutto il suo essere. Un drago giapponese per esempio, o un lottatore di sumo nel momento della vittoria, King Kong mentre sferra un pugno sul tetto di un grattacielo di New York, oppure l’immagine del vento, del sole o dell’ultimo tramonto. Il simbolo figurato è più forte del pensiero, amplifica ed espande l’intenzione, preparando il terreno al passaggio successivo: quello che coinvolge l’emozione. Qual’è l’emozione più incisiva che incarna lo stato del momento? Rabbia, gioia, collera , un motto d’amore? Immaginate quindi un uomo che stringe i pugni, si piega su se stesso, e coinvolgendo il pensiero, l’immagine e l’emozione del momento, con tutto se stesso afferma energicamente: “ci sono!”…”ci sono!”. Siamo nel pieno dell’atto autoaffermativo, quello che include tutti gli strati dell’essere: idea, immagine, emozione, azione.

Avete mai provato ad urlare con tutte le vostre forze al cielo? Avete mai sperimentato la potenza dell’autoaffermazione impressa in un atto simbolico ed eclatante?

Ebbene il passaggio dal nucleo incistato del trauma alla sua espressione libera, attraversa tutte queste tappe.

Un famoso terapeuta un giorno mi disse che per cambiare qualcosa della nostra personalità occorre tracciare un nuovo engramma cerebrale; solo quando esso prenderà il posto del vecchio già esistente, i giochi potranno cambiare. Per capire cos’è un engramma cerebrale potete immaginare un uomo che cammina in un campo di grano pieno di spighe alte e mature, e passa innumerevoli volte sui suoi stessi passi tracciando un sentiero. Un giorno decide di prendere una direzione diversa, abbatte così un muro di alti e inviolati fusti di grano e crea, con forza, un nuovo passaggio. Lo percorre più e più volte, fino a quando i suoi passi non si imprimono risoluti nel terreno. Mentre il vecchio sentiero sparisce quando le spighe costrette a terra dal peso dei passi si rialzano lentamente, il nuovo tracciato di conseguenza diventa sempre più evidente.

Mi sono sempre chiesto quanto tempo ci voglia a cambiare un engramma cerebrale, forse mesi, anni. Mi sono sempre anche chiesto come poter fare per velocizzare questo processo, accorgendomi quanto sia importante, a questo proposito, l’uso del corpo. Il peso specifico di un’idea cambia quando l’idea stessa è espressa da una vigorosa azione, quando s’incarna, quando esce dal midollo facendosi strada e scorrendo nelle vene. Maggiore è la possibilità di vivere nel corpo la forza di una vissuto, maggiore è il solco di un nuovo engramma cerebrale che traccia il binario del cambiamento concreto.

Il corpo quindi va attivato, “risvegliato”. Innumerevoli sono le situazioni che possiedono le qualità per richiamare la vitalità e rinnovare il frizzante entusiasmo dei sensi. Le bolle di un idromassaggio, per esempio, producono questo effetto quando solleticano le corde tese dei muscoli, ci accarezzano, e regalano un piacevole momento di dialogo con sensazioni sopite. Tutto ciò che riesce a farci sentire più vivi aprendoci al mondo, diventa una lecita scoperta. Ma le resistenze intorno a vissuti intensi, sono ben più difficili da arginare, e la vitalità attivata dalla rottura della difesa di un trauma, che è di natura ben poco piacevole, risveglia sovente forti impulsi incontrollabili. Le difese vanno quindi arginate con cura e rispetto.

Talvolta mi accingo a distrarre il paziente da una difesa eccessiva, comportandomi come una mamma che canta una canzoncina dolce al proprio bambino, mentre infila veloce i calzettini nei piccoli piedi che scalpitano. La distrazione deve essere tenera, come quella di un solletico o di piccoli sfioramenti periferici. L’intento è quello di depotenziare l’interesse verso una zona traumatica che è sempre al centro dell’attenzione.

Come insegnano le scoperte di Porges, il nostro sistema nervoso più evoluto attiva la positiva capacità di interazione sociale, mettendo in funzione i nervi cranici periferici, direttamente connessi alle espressioni del volto ed all’interazione verbale. Questa via quindi, va utilizzata in modo privilegiato nell’espressione dei conflitti emergenti. Pertanto la risoluzione di un trauma forte richiede, oltre al rispetto di tutti i passaggi sopra citati, un terapeuta abile a comunicare, che sia dolce e moderato, e aiuti il paziente ad uscire dall’immobilità del shock, attraverso la stimolazione del sistema vagale più recente.

Bibliografia: Maurizio Stupiggia, Il corpo violato, Edizioni meridiana.

Porges S.W. Orienting in a defensive world: Mammalian modifications of our evolutionary heritage. A Polyvagal Theory.