Dal bisogno al desiderio
Scritto dal dott. Marco Montanari Psicologo Psicoterapeuta Integrazione Posturale.
Paul Chauchard riporta la famosissima espressione di Cartesio “penso dunque sono” al desiderio: “desidero dunque sono”. Se desideriamo, dunque siamo. Il desiderio è connesso all’essere, è connesso alla vita. È qualcosa di inestimabile. Scrive Buber: “in ognuno c’è qualcosa di prezioso che non c’è in nessun altro. Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l’uomo può scoprirlo solo se coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio fondamentale, ciò che muove l’aspetto più intimo del proprio essere”.
L’aspetto più intimo del proprio essere, secondo Buber, è una nota autentica che si raggiunge attraverso un processo di riconoscimento, un cammino graduale. Come se dal mare ci incamminassimo lungo la foce di un fiume risalendo fin verso la sorgente. Vediamo la differenza tra bisogno e desiderio partendo dall’origine e dalla parte più istintiva che è in noi: quella animale. L’animale ha molti bisogni e pochi desideri. L’uomo ha molti bisogni e molti desideri. La soddisfazione dei bisogni estingue le reazioni ad essi. La soddisfazione di un desiderio ne porta uno nuovo e più evoluto. Nell’animale la fame induce alla ricerca di cibo, il nutrimento poi estingue la fame; allo stesso modo quando ha sonno si rifugia e dorme, se si ferisce si ferma e aspetta. Ogni azione assicura la corretta soddisfazione dei bisogni. Un animale non va mai generalmente oltre la sua necessità, non mangia quasi mai oltre il necessario, non dorme oltre il necessario, non si ferma oltre il necessario ecc. Soddisfa i suoi bisogni in maniera ottimale. L’uomo no. Il leone quando ha cacciato e si è nutrito non è pericoloso, si accuccia nella savana all’ombra di un albero, nel suo sonnecchiare è indifferente a tutte le bestie che passano nell’arco di pochi metri. I cacciatori questo lo sanno e si guardano bene dall’avvicinarsi senza premura al cospetto di un leone famelico. Il bisogno quindi rispetta un ciclo che è puramente biologico. La nostra caccia invece oggi inizia e finisce in un supermercato. Qualcuno alleva per noi animali che reperiamo comodamente dentro cellophane o surgelati, già tagliati, avvolti nelle verdurine, fritti, speziati, macinati, nelle forme più carine come dadini, palline, cubetti, salamini, triangolini, involtini. La caccia è oggi un imbarazzo della scelta. Il desiderio è estrarre il prodotto che più ci aggrada per le voglie più personali. Così avviene per ogni prodotto disponibile sul mercato. I vestiti che indossiamo, per esempio, non sono solamente utili a coprirci dal freddo ma diventano anche un’espressione, un modo di essere, una cultura. Per definire più chiaramente un bisogno vorrei usare una metafora: come una pompa idraulica genera una compressione e rimane in tensione fino al successivo rilascio così ciclicamente ogni bisogno inizia e finisce. Il bisogno è un’altalena, nel punto più alto sale ma la suspance non rimane a lungo, prima o poi cade di nuovo. Il perno sul quale si muove è sempre quello. Il bisogno è un uomo che aspetta, procastina, dipende, gira intorno, rimane sospeso, insoddisfa e soddisfa in continuazione. Il gioco ripete sempre lo stesso procastinare e mai si evolve. Alcuni bisogni come mangiare, dormire, respirare, istinti sessuali, sicurezza sono fisiologici e necessari. Quando abbiamo fame si accentuano i sintomi di languore, contrazioni allo stomaco, brontolii e vuoti d’aria e nutrendoci immediatamente scompaiono. Poi giunge la sete o il sonno, ma con certezza ritornerà la stessa fame e lo stesso bisogno. Il bisogno quindi torna ed è sempre lo stesso. La sua ciclicità ci tiene legati alla vita. Il complesso mondo delle oppurtunità tiene sempre alta la sfida ad evolverci. Ed ecco che dal semplice bisogno matura il desiderio. Dal latino sidus, sideris, che significa stella o costellazione. Legato quindi al concetto di luce e a tutto ciò che guida e porta chiarezza. In passato le stelle erano un importante punto di riferimento per non perdersi e per orientarsi, per trovare e seguire la giusta via. L’osservazione della collocazione degli astri fungeva da strumento per ogni spostamento via terra e via mare. I popoli cinese e Maya consultarono per primi gli astri anche per ottenere previsioni del futuro e guide in scelte importanti. Nella tradizione ebraica le stelle apparivano come annunciatrici di avvertimenti importanti come catastrofi o nascite di personaggi significativi (pensate alla cometa di Betlemme). Così lo sguardo rivolto verso il cielo non aveva il solo scopo di contemplare, ma anche bramare. Il “de” privativo di de/siderare, nell’antico linguaggio augurale dei marinai indicava il cessare di vedere, il disorientamento e assenza di punti di riferimento.
Ma il desiderio è anche un rimpianto, una nostalgia verso qualcosa che un tempo c’era ed è andato perduto, se ne sente soltanto un richiamo lontano e irraggiungibile, come le stelle!. Il bisogno quindi è la forma immatura del desiderio. La crescita di ogni essere umano passa, come la crisalide alla farfalla, dal luogo dei bisogni al luogo dei desideri. Da piccoli eravamo pieni di bisogni, se non fossero stati soddisfatti non saremmo potuti arrivare fino ad ora. Ma molti sono rimasti in sospeso, ecco dove sta la fregatura. Se potessimo rivedere tutte le volte in cui i nostri bisogni sono stati ignorati ci imbatteremmo in ricordi molto spiacevoli. Il desiderio è evolutivo, il bisogno no. Fermi in una situazione ansiosa e bloccati dal bisogno siamo in un’ attesa attiva verso l’evoluzione. Ecco perchè ritengo che gli stati di ansia siano in un certo modo crisi molto importanti, presentano un grande movimento di energia (quella ansiosa,), sospesa ai margini di un nuovo senso e di una nuova direzione.
Sembra un passaggio obbligato a volte regredire, ritornare bozzolo per raggiungere una forma più matura come quella di una farfalla. Riscoprire il bisogno per arrivare al desiderio pare essere, a volte, la tappa più importante. Nella regressione abbiamo fretta, nessuno vuole starci a lungo, e si rischia quindi di accellerare una trasformazione che richiede più tempo. Non vogliamo stare nella frustrazione, non vogliamo stare male. Il bisogno per essere trasformato invece deve a volte rimanere in incubatrice proprio come il bozzolo della farfalla, e deve rimanerci il tempo necessario. Questo intervallo dipende dalla natura del nostro bisogno, da quanto è radicato dentro di noi sin dal passato. Provate a dire ad un bambino di tre anni che il suo gioco preferito non c’è o che lo portà avere solo il giorno dopo. Non esiste il domani per un bambino, non esiste l’attesa, non è possibile restare nel bisogno e quel bambino è sempre con noi.
Il passaggio tra bisogno e desiderio è proprio in quell’atto di volontà in cui gli impulsi sono sospesi, per usare una espressione di Assagioli “inibiti”, e dove l’impazienza di quel bambino viene domata. Concludo quindi con le parole di un grande maestro:
“Per le orecchie moderne la parola “inibizione” ha un suono piuttosto sgradevole; fa venire in mente la repressione e le sue infelici conseguenze…. vale dunque la pena di chiarire la grande differenza che esiste tra “repressione” e controllo cosciente. Reprimere un impulso significa condannarlo, cercare di cancellarlo o di “imbottigliarlo” nell’inconscio e fingere che non esista. Ma tutto ciò che è represso ritorna più tardi, e spesso travestito, a reclamare quanto gli è dovuto. Inibire, d’altra parte, consiste nel trattenere con fermezza un impulso o una tendenza mentre si delibera sul modo migliore di affrontarli. Reprimere dunque è sciocco. Ma, usata bene, l’inibizione può essere il marchio della saggezza”. (Roberto Assagioli, Atto di volontà, 1973)