La Ferita Primaria

Scritto da Marco Montanari e Francesca Cipriani Cirelli Psicologi Psicoterapeuti. Pubblicato sulla rivista internazionale di psicosintesi Ottobre 2007.

Tanto si è scritto sulle ferite primarie, sui traumi infantili e sui nuclei inconsci da cui originano molte delle nostre sofferenze più profonde. Nell’immenso panorama odierno delle psicoterapie e dei percorsi di crescita personale, ho scoperto un’interessante visione sui traumi e sulla guarigione che integra in maniera formidabile la psicosintesi, le terapie transpersonali, la psicologia delle relazioni oggettuali e la psicoterapia del profondo.

Si tratta della visione psicosintetica di Firman J. e Gila A, coppia di psicoterapeuti californiani, che ho avuto il piacere di conoscere durante un seminario tenutosi a Firenze nel 2005. I due autori hanno “rivisitato” la teoria di R. Assagioli, creando quella che, a mio parere, è una delle più significative sintesi attualmente proposte tra la psicoterapia del profondo e la psicosintesi.  Il seguente articolo illustra brevemente questa innovativa visione.

Per approfondimenti si rimanda alla lettura del libro “La ferita primaria”, di John Firman e Ann Gila, ed. Pagnini e Martinelli, Firenze.

Sembra che la psicoanalisi, la psicologia analitica, la teoria degli attaccamenti e la psicologia umanistico esistenziale siano tutte concordi nel riconoscere che esiste in noi una ferita primaria causata dalla minaccia di fratture nelle relazioni significative. Questa ferita è la minaccia del non-essere ed è stata chiamata in diversi modi da diversi autori: annichilimento o annientamento personale (Winnicot), innominabile terrore e ansia di disgregazione (Kohut), colpa fondamentale (Balint), terrore fondamentale (Laing).

Secondo Firman e Gila la minaccia del non – essere non è insita nella natura umana, ma è originata da relazioni disturbate. Infatti, il fondamento dell’essere umano non è caratterizzato da un’unità indifferenziata, bensì da una relazione, quindi i “disturbi psichici” non sono causati dall’incapacità di differenziare il sé e l’altro da un’unità originaria, da una regressione o fissazione di fronte ad un arcaico stato di felicità, da un conflitto tra il principio di piacere e il principio di realtà o dalla difficoltà di separazione – individuazione da una matrice primaria.

La maggior parte dei disturbi psichici è essenzialmente il risultato di una frattura nell’originaria relazione Io – Sé, causata dal fallimento empatico di particolari Centri Unificatori. Questa frattura rappresenta la ferita originaria.

Raramente la relazione Io – Sé si realizza in pieno, e ciò è dovuto alla fallacia dei vari contesti di supporto, cioè dei vari Centri Unificatori.

Anche una famiglia apparentemente sana può, in modo non manifesto, provocare sofferenza nel bambino, a causa delle stesse ferite inconsce delle figure di riferimento. Queste ferite costituiscono dei punti deboli nella funzione di rispecchiamento dell’adulto significativo, che vanno a creare delle zone di non – essere nel bambino.

Se l’adulto è ferito a livello del nucleo la sua funzione empatica di mirroring sarà distorta o limitata e quindi il Sé del bambino ne rifletterà la ferita. Il trauma nascosto non è solo conseguenza di un comportamento esteriore, ma piuttosto il risultato di un rispecchiamento carente che va a produrre immagini distorte. Sembra quindi che lo spirito ferito dell’adulto non possa fare a meno di creare uno spirito ferito nel bambino, non importa quanto bene informati e attenti i genitori possano sembrare.

La ferita originaria rappresenta una sofferenza umana alla quale nessuno può sottrarsi ed a volte essa è così pervasiva, da avere inizio già nella vita intrauterina. Il feto è all’unisono con la madre e reagisce negativamente ad ogni suo atteggiamento di rifiuto, anche se lei stessa resta inconsapevole di questo atteggiamento.

In realtà sofferenza e dolore non sono patologici; è l’assenza di un’adeguata armonia e di una rispondenza alle reazioni emozionali dolorose del bambino che li rende intollerabili e, quindi, fonte di condizione traumatica e psicopatologica. La ferita del bambino non è causata dalla sofferenza in sé, ma dalla mancanza dell’altro empatico e quindi dalla minaccia di non – essere.

Mentre il dolore provoca stress all’organismo e, a volte, anche un rischio di morte, la ferita primaria implica annichilimento e senso di non – essere.

Ogni livello di crescita è assistito da un Centro Unificatore esterno, cioè da qualcuno fuori di noi che è funzionale al supporto della relazione Io – Sé.

L’esperienza con il centro esterno influenza lo sviluppo di un Centro Unificatore interno che finisce con l’adempiere a molte delle funzioni di quello esterno. Il Centro interno, ad esempio, può essere sperimentato come una presenza interiore reale (come quando una persona interiormente sente l’incoraggiamento ed il consiglio di un genitore o di una guida).

Quando un Centro Unificatore esterno fallisce come “altro empatico”, la connessione Io – Sé viene disturbata, la linea di ossigeno che ci lega alla fonte dell’essere viene minacciata e dobbiamo affrontare una precipitosa caduta dall’universo, un tuffo nel nulla, un apparente rifiuto da parte della Fonte dell’Essere.

Questa contraddizione a livello cosciente è intollerabile, per cui il soggetto opera come meccanismo difensivo una scissione della psiche tra un settore negativo ed uno positivo. Comincia quindi a vivere in due mondi diversi, uno fatto di traumi ed uno di sicurezza e non permette che l’uno interferisca con l’altro.

Questa scissione è molto profonda, e infatti non scindiamo solo il Centro Unificatore (ad es., madre buona / madre cattiva), ma anche lo stesso senso di Sé.

Quando cadiamo nell’influenza del Centro Unificatore negativo, sentiamo di essere cattivi, indegni e odiati, e perciò assumiamo un’identità negativa; quando invece ci sentiamo connessi al Centro Unificatore positivo, ci percepiamo buoni, degni e amati, ed assumiamo un’identità positiva. Queste due identità vanno a formare la personalità positiva e la personalità negativa.

Il trauma del non – essere spezza la continuità dell’essere, ma non interrompe realmente la connessione Io – Sé. Esso però porta l’individuo a scindere le esperienze di dolore e di bellezza, di trauma e di idealizzazione e più il settore negativo si sviluppa a causa di fallimenti empatici, più si ha bisogno di un settore positivo di compensazione. Quindi in noi è presente sia un’Ombra negativa che un’Ombra positiva (ad es., se nella psiche è presente un inconscio ricordo abbandonico è al contempo presente un’inconscia speranza di unione perfetta). Dunque, oltre alla repressione del negativo è presente una proporzionale repressione del positivo.

Anche se il settore negativo sembra più correlato alla ferita originaria e quello positivo più attinente alla relazione Io – Sé, in realtà entrambi i settori sono condizionati dal sotteso trauma, rappresentano entrambi distorsioni della relazione Io – Sé e non esisterebbero nel loro isolamento se non fosse per la ferita originaria. Entrambi i settori sono componenti della nostra esperienza autentica e l’inautenticità nasce dalla separazione tra i due aspetti dell’esperienza.

Solo quando i due settori entrano in relazione e si getta un ponte tra i due, emergono la minaccia del non – essere e la ferita sottesa. Ed è proprio in quel momento che la persona può cominciare a sanare la scissione presente nella personalità globale.

Questi settori “positivo” e “negativo” della personalità si possono definire rispettivamente inconscio superiore e inconscio inferiore.

Il modello della personalità di Firman e Gila è di tipo anulare: significa che in ogni età psichica può presentarsi la minaccia del non – essere.

L’annichilimento personale è impensabile, inammissibile e terrificante: provoca sentimenti di vuoto, isolamento, abbandono, ansia di disgregazione, falsità, vergogna, colpa, indegnità, esilio, ecc. Questa esperienza tende a legarsi ad esperienze analoghe nel tempo, creando nella personalità catene ininterrotte di memorie simili.

L’uomo in un certo senso preferisce affrontare la “dannazione” piuttosto che confrontarsi col non – essere, con la non relazione.

E’ interessante paragonare le descrizioni delle esperienze di annichilimento a quelle suscitate invece dalle qualità transpersonali prodotte dall’inconscio superiore (verità, bellezza, vitalità, spontaneità, gioia, felicità, luce, amore, fiducia, saggezza, ecc.). Il contrasto è impressionante e c’è un abisso che separa queste due esperienze di vita umana.

Comunque il fondamento è dato dalle ferite relazionali e non tanto dall’inconscio superiore o inferiore. Queste difese servono a mantenere la scissione primaria, seppellendo così la ferita originaria e questa dolorosa alternanza di positivo e negativo è preferibile al non – essere.

La ferita originaria è una frattura nella connessione Io-Sé provocata da un centro unificatore non empatico, dunque per evitare l’esperienza di annichilimento dobbiamo diventare ciò che ci viene richiesto (ad es., invece di essere “me” devo diventare quello che è destinato a salvare la madre da una vita priva di significato o da un matrimonio difficile).

Questa mancanza di connessione empatica porta ad uno sconvolgimento violento nello sbocciare del senso dell’Io nello spazio e nel tempo e ad una mutilazione della personalità autentica. Nascondiamo la nostra natura e diventiamo ciò che l’ambiente richiede: una personalità di sopravvivenza o Falso Sé, che rappresenta il tentativo di creare un qualche senso di sé di fronte a una potenziale caduta nel pozzo della non esistenza.

La personalità di sopravvivenza per esistere deve essere correlata ad un centro unificatore di sopravvivenza, deve cioè avere la propria relazione oggettuale da cui trarre esistenza. Il centro unificatore di sopravvivenza è il magazzino delle regole familiari costrittive (ad es., “non si parla mai della famiglia con gli estranei”, “non si esterna la felicità perché il pericolo è dietro l’angolo”). Disobbedire al Centro Unificatore di sopravvivenza può dar luogo a disperazione, senso di inadeguatezza, paura della punizione, ovvero sia può far nascere una “colpa di sopravvivenza”. Questo perché in ogni famiglia è presente un contratto di sopravvivenza, nel quale abbiamo contrattato “di vendere l’anima” (o almeno di scinderla) per riuscire a sopravvivere.

Se cominciamo a trasgredire al contratto di sopravvivenza si viene a creare uno stato di tensione con il relativo Centro Unificatore e proviamo colpa e vergogna. Tentando di rompere il contratto disturbiamo la nostra linea di ossigeno e ci troviamo di fronte alla più profonda minaccia del non – essere.

Ogni passo verso una maggiore autenticità può essere vissuto come un tradimento di qualche antico voto sacro, la rottura di un tabù tribale, la violazione del contratto di sopravvivenza.

Quando siamo connessi al Centro Unificatore di sopravvivenza accade una cosa molto strana: cadiamo in trance.

Un soggetto ipnotizzato può anche sperimentare il libero arbitrio, ma l’esercizio di consapevolezza e volontà è in realtà fortemente condizionato dall’ipnotizzatore. Solo che a differenza dell’ipnosi, il centro unificatore di sopravvivenza non ci ipnotizza per un tempo limitato; possiamo essere concepiti, nati e maturati totalmente immersi in questa trance fondamentale e pregnante. Dato che poi il centro unificatore di sopravvivenza interno è dentro di noi, la trance può durare per l’intera esistenza.

Volendo esemplificare, quando una paziente inizia l’analisi dicendo “ho avuto la madre migliore della terra” (e poi si scopre il contrario) si comprende che c’è stata una specie di suggestione post – ipnotica. La trance è così pervasiva e potente perché se la si elimina si infrange la continuità dell’essere. Ammettere che la propria madre non è la migliore della terra significa sperimentarsi al di fuori del centro unificatore materno, tagliarsi fuori dall’ambiente di sostegno e dalla vera fonte dell’esistenza, soli e abbandonati a fronteggiare un potenziale nulla. La persona si trova cioè di fronte alla morte vudù in seguito all’infrazione di un tabù tribale.

Il centro unificatore autentico invece rappresenta quel centro che riflette abbastanza fedelmente il Sé, così da favorire il dispiegarsi della personalità autentica. In esso è presente una consapevolezza e un senso di intima connessione con un altro empatico che ci vede, ci conosce e ci accetta per quel che siamo.

Mentre il centro unificatore di sopravvivenza infligge ferite, esigendo che poi vengano nascoste, il centro unificatore autentico accetta queste ferite e cerca di risanarle. Quando siamo connessi col centro unificatore autentico non sentiamo più il bisogno di nascondere e di compensare le nostre ferite, ma possiamo riconoscerle ed accettarle come parte dell’esperienza di vita. Questa crescente apertura è indicata da Assagioli come un’espansione dell’inconscio medio, dove non sperimentiamo necessariamente una maggiore armonia e bellezza, ma un maggiore “senso di me”. Quest’espansione dell’inconscio medio è una ricomposizione della scissione originaria.

In questo modello, ciò che è primario non sono la rabbia e l’ansia, ma la ferita che le ha causate.

Riconoscere la centralità della ferita originaria rispetto ai problemi psichici naturalmente non ci libera dalla responsabilità delle nostre reazioni a questa ferita.

Non siamo responsabili della ferita (insight cruciale per la guarigione), ma abbiamo la piena responsabilità delle nostre reazioni a questa ferita e quindi di ogni danno causato a se stessi e agli altri se reagiamo con ansia, dolore e rabbia.

Comprendere che a un livello fondamentale siamo vittime è diverso dal rimproverare gli altri per le nostre condizioni di vita e giustificare comportamenti che vanno dalla dipendenza aggressiva alla violenza fisica.

Accettare la ferita non significa entrare nel ruolo di vittima, ma entrare in contatto con una realtà fondamentale da cui iniziare il processo di guarigione.

In psicoterapia si possono affrontare gli abissi delle ferite dell’inconscio inferiore, abreagire ricordi di abuso infantile, disidentificarsi dalle molteplici diverse subpersonalità, spostarsi alle altezze dell’inconscio superiore e fare tutto questo mantenendo intatta la personalità di sopravvivenza! La terapia può andare avanti per sempre senza mai raggiungere il nucleo dell’identità personale. Winnicot sottolinea come il Falso Sé può talvolta simulare il Vero Sé in modo perfetto.

In psicosintesi la relazione empatica tra terapeuta e paziente è fondamentale.

Attraverso l’empatia il paziente può sperimentare i primi sentimenti di abbandono, solitudine, ansia, impotenza e rabbia, senza dover proteggere i genitori da questi sentimenti, perché con l’aiuto del terapeuta si renderà conto che i sentimenti non uccidono.

I livelli infantili dell’adulto non includono una comprensione adulta delle difficoltà dei caregiver e come terapeuti non dobbiamo costringere il paziente verso questa direzione.

Al paziente va concesso il giusto dolore e la giusta rabbia presente nella persona debole e dipendente che è stata tradita. Questo non significa rimproverare i genitori delle proprie difficoltà esistenziali, ma si tratta di connettersi alla verità esperenziale delle proprie radici infantili, ricontattando la direzionalità della propria personalità autentica.

Il terapeuta può anche rispecchiare l’aspetto adulto del paziente in relazione all’emergere delle ferite infantili. Pur convalidando la prospettiva adulta deve però richiedere che al bambino sia permessa la piena e libera esperienza dal proprio punto di vista. Quest’intervento permette il dispiegarsi dell’esperienza infantile e modella la connessione empatica tra adulto e bambino con un potere risanante.

Il modello proposto da Firman e Gila è un modello concentrico: ogni cosa che abbiamo vissuto rimane dentro di noi. Superare non significa perdere; tutto ciò che superiamo lo teniamo dentro di noi, senza reprimerlo o cancellarlo.

Il modello circolare rappresenta anche una coscienza che si espande col passare del tempo, perché “comprende” sempre più cose. Possiamo permetterci di sentire il bambino che è dentro di noi e metterci in relazione con lui, senza considerarla una regressione, bensì un’inclusione.

Empatizzare con le prime ferite significa anche evitare la tentazione di idealizzarle.

L’enfasi non va posta sul “guarire il bambino ferito”, perché porterebbe a trattare il bambino come un oggetto da aggiustare; l’obiettivo è invece quello di risanare la relazione interrotta col bambino ferito.

La nostra empatia spirituale è l’unico modo per entrare in contatto con l’altra persona che è in trance. Le tecniche non fanno entrare in contatto con la trance. Con l’empatia spirituale diventiamo Centri Unificatori spirituali, ci colleghiamo direttamente alla fonte e così l’Io può emergere.

Il processo consta in due fasi principali che si compenetrano: nel primo stadio emerge l’Io (“chi sono io?”), nel secondo emerge il Sé (“dove sto andando?”).

Per Firman e Gila le fasi della guarigione, che avvengono in maniera naturale e se il paziente si sente amato, sono:

  • Fase 0 àsopravvivenza, in cui il paziente non è consapevole di chi si è veramente, funziona automaticamente e sperimenta un senso di vuoto.
  • Fase 1 à riconoscimento, in cui il paziente comincia a guardare al di sotto della personalità di sopravvivenza, anche se in un primo momento può essere sconcertante, perché chi pensava di essere originariamente svanisce. Esiste una potente lotta tra sopravvivenza e autenticità.
  • Fase 2 à accettazione, in cui il paziente si dovrebbe domandare: “posso accettare che questo è successo?” (ad es., “posso accettare che c’è un livello dentro di me che è stato abusato?”).

Quando ci identifichiamo con la sopravvivenza pensiamo di avere qualcosa che non va in noi (per es., i geni, la biochimica) e così facendo proteggiamo la nostra famiglia. Attraverso il rispecchiamento di un Centro Unificatore autentico possiamo arrivare alla consapevolezza di sentirci così a causa delle relazioni familiari pregresse. Ma la maggior parte delle persone accetta che c’è qualcosa che non va in se stesso, perché la personalità di sopravvivenza cerca di normalizzare la ferita.

· Fase 3 à sintesi, nella quale scopriamo che la nostra vocazione viene dalla ferita.

In psicoterapia il soggetto potrà sviluppare un Centro Unificatore interno autentico ed empatico dal quale poter guardare con amore tutti gli aspetti di sé, quelli negativi e quelli idealizzati, i suoi limiti e le sue potenzialità e “riflettere” così totalmente la sua verità (autentico principio risanante delle sue ferite).

Uno dei vantaggi della psicosintesi è riconoscere e convalidare entrambe le dimensioni e quindi confrontarsi con la scissione traumatica tra i due settori. La psicosintesi favorisce il rispecchiamento della persona nella sua globalità, affermando il senso di un Io in grado di affrontare sia le altezze che le profondità dell’esperienza umana

All’Istituto di Psicosintesi (Centro di Bologna, tel. 051 521656 , www.psicosintesibologna.it, bologna@psicosintesi.it) si organizzano corsi di gruppo su varie tematiche (ansia, attacchi di panico, psicosomatica, senso di colpa e vergogna, sessualità) e incontri psicologici individuali.